Ordine Informa
Il Tribunale di Verbania, con ordinanza n. 192/022, in merito alla disciplina sulle sanzioni al datore di lavoro per omesso versamento di ritenute previdenziali trattenute, ha demandato alla Corte costituzionale di valutare la legittimità del regime sanzionatorio, di cui all’art. 3 del D.Lgs n. 8/2016, ritenuto contrario ai principi dell’art. 3 della Costituzione.
La violazione, prima esclusivamente penale, dal 6 febbraio 2016 è stata oggetto di parziale depenalizzazione. Per cui: è rimasta penale (con reclusione fino a tre anni e multa fino a 1.032 euro) per omessi versamenti superiori a 10.000 euro annui; è diventata pecuniaria (da 10.000 a 50.000 euro) per omessi versamenti fino a 10.000 euro annui. Con messaggio n. 3516/2022 l’INPS ha disposto che la sanzione è ridotta alla metà, a 5 mila anziché 10 mila euro, se pagata entro 60 giorni e riguarda violazioni commesso fino al 2015; altrimenti è 10mila euro di minimo e non più 16.666 come comminata in precedenza. Le nuove indicazioni dell’INPS, spiega il tribunale, non risolvono la vera questione che è la sproporzione tra violazione e pena. Il caso riguarda un datore di lavoro che, per non aver versato 190,52 euro di ritenute nell’anno 2014, neppure nei tre mesi a disposizione per il ravvedimento, ha ricevuto dall’Inps un’ordinanza ingiunzione di 17.500 euro. Per il tribunale, il legislatore, nel fissare minimo (da 10mila) e massimo (fino a 50mila) della sanzione, ha sottoposto a un’irragionevole disparità di trattamento i datori di lavoro che trasgrediscono la norma per omissioni sotto soglia penale (fino a 10.000 euro). Infatti, chi viola il precetto nel massimo valore (10.000 euro) può soffrire una sanzione, al massimo, di 50.000 euro, cioè il quintuplo della violazione. Invece, chi viola per un importo minimo, per esempio 100 euro, può soffrire una sanzione minima di 10.000 euro, cioè il centuplo della violazione.
(Autore: AMS)
(Fonte: ItaliaOggi)
