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Politiche attive per il lavoro, con il passo del gambero


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Scendono i fondi per aiutare i disoccupati a trovare un lavoro. Nel giro di tre anni, mentre le risorse investite in ammortizzatori sociali sono aumentate di oltre il 20%, quelle destinate a politiche attive e servizi per l’impiego sono calate del 6 e del 10 per cento. Si accentua così lo squilibrio tra sussidi monetari e iniziative di formazione: i primi intercettano l’80% del budget totale di 27 miliardi, mentre alle politiche attive va solo lo 0,31% del Pil, la metà di quanto spende la Germania.
Ventisette miliardi l’anno per una platea di disoccupati che ha sfondato quota 3 milioni. È il conto dell’Italia per le politiche del lavoro: la fetta più ricca, 21,5 miliardi, è assorbita dalle indennità monetarie (80% del totale), mentre le “briciole” vanno a servizi per l’impiego (500 milioni) e formazione (4,8 miliardi). Con uno squilibrio record. Eccezion fatta per la Romania, il nostro è infatti il Paese europeo con il gap più ampio tra sussidi passivi e politiche attive, senza contare che nel complesso il budget è sceso di un miliardo nel 2011 (anno a cui si riferiscono gli ultimi dati disponibili).
Così l’Italia è tra gli Stati che spende meno in politiche del lavoro rispetto al Pil: solo l’1,7% – secondo l’elaborazione di Datagiovani per Il Sole 24 Ore sull’archivio Eurostat -, contro una media europea superiore al 2%, e versus il 3,8% della Danimarca, il 2,7% dell’Olanda, il 2,6% della Francia e l’1,8% della Germania. Solo il Regno Unito tra i big spende in proporzione meno di noi. Alle politiche attive va appena lo 0,31% del Pil, in pratica circa 2.300 euro a disoccupato, la metà del valore tedesco e il 37% di quello francese. E nel ranking delle risorse destinate ai servizi per l’impiego, sempre rapportate al Pil, l’Italia è penultima, insieme a Cipro e Romania, davanti solo alla Grecia: da noi si spendono per il collocamento meno di 240 euro a disoccupato, contro i quasi 6mila di Danimarca e Olanda, i 3.600 della Germania e i 2.200 della Francia.
Non stupisce, quindi, che nel 2011 solo il 32% dei disoccupati si sia rivolto ai centri per l’impiego, il dato più basso della Ue a 27 (se si esclude Cipro), anche se secondo l’Upi, Unione delle province italiane, il 47% dei disoccupati riceve comunque un servizio pubblico. La media di utilizzo della Ue sfiora il 56%, ma in Germania si arriva anche all’82%, in Inghilterra al 62% e in Francia al 58 per cento.
E se ci sono casi virtuosi sul territorio, come evidenziano dall’Upi, «Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Piemonte, Trentino Alto Adige, aree in cui le politiche del mercato del lavoro si appoggiano a servizi provinciali con caratteristiche chiare e ben definite», in media appena il 3,9% dei disoccupati trova un impiego grazie al collocamento pubblico, secondo gli ultimi dati Isfol. «La risposta alla perdita di posti di lavoro a causa della crisi – commenta Luigi Campiglio, ordinario di politica economica all’Università Cattolica – in Italia si è concentrata sugli ammortizzatori sociali.
Poco o nulla, invece, si è fatto sul fronte delle politiche attive e dei servizi per impiegare e ricollocare i disoccupati». Dopo il 2008, a fronte di un aumento medio annuo del 23% nella spesa in sussidi passivi, i servizi per l’impiego hanno registrato al contrario un -10% nelle somme investite, le politiche attive -6,4%, mentre in molti altri Paesi europei sono aumentate tutte le uscite.
Tra le politiche attive, da noi si registra un calo in tutti i capitoli di spesa e i circa 4,8 miliardi messi a budget si sono sostanzialmente divisi tra attività di formazione e bonus per l’occupazione. «Gli altri Stati – conclude Campiglio – puntano su un mix di interventi, spendendo quote consistenti nella creazione diretta di posti di lavoro attraverso mansioni di pubblica utilità o con generosi aiuti alle start up». Invece su quest’ultimo fronte il nostro Paese arranca, sia nelle somme pro capite per disoccupato (100 euro) sia nel trend di spesa, diminuito del 17% dall’inizio della crisi.
(fonte Il Sole 24 Ore)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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