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Naspi e dimissioni, vediamo quando è possibile


Ordine Informa

Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI)
Fra i requisiti della Naspi vi è lo stato di disoccupazione involontario, ma si può avere anche per dimissioni o risoluzione consensuale, vediamo quando.

L’indennità di disoccupazione Naspi è una prestazione a sostegno del reddito, istituita a partire dal 1° maggio 2015 con Decreto Legislativo 4 marzo 2015 n. 22 in attuazione del Jobs Act. La Naspi è andata a sostituire ed accorpare la vecchia disoccupazione Aspi e la mini-Aspi.

Per poter accedere alla disoccupazione Naspi il lavoratore deve avere i seguenti requisiti:

stato di disoccupazione involontario;

requisito contributivo;

requisito lavorativo.

Per quanto riguarda gli ultimi due in breve, per poter accedere alla nuova disoccupazione Naspi il lavoratore deve poter far valere almeno 13 settimane di contribuzione contro la disoccupazione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione (requisito contributivo) e almeno trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione (requisito lavorativo).

Inoltre a differenza delle vecchie disoccupazioni ordinaria e Aspi, non è più previsto il cosiddetto requisito di anzianità d’iscrizione il quale prevedeva che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, fossero trascorsi almeno due anni dal versamento del primo contributo contro la disoccupazione per poter accedere alla prestazione.

Stato di disoccupazione involontario

L’oggetto di questa guida è la possibilità di accedere alla Naspi in caso di dimissioni o risoluzione consensuale, la normativa prevede infatti dei casi specifici perchè ciò sia possibile. Per poter accedere alla Naspi infatti uno dei 3 requisiti fondamentali, come elencato sopra è Stato di disoccupazione involontario.

In attesa dell’istituzione del portale nazionale delle politiche del lavoro (D. Lgs. n. 150 del 2015), si considera disoccupato il lavoratore privo di impiego, che abbia dichiarato al Centro per l’Impiego la propria immediata disponibilità (D.i.d.) allo svolgimento di attività lavorativa ed alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro.

L’indennità Naspi non spetta al lavoratore nel caso in cui il rapporto di lavoro sia cessato a seguito di dimissioni o risoluzione consensuale, tranne che nei casi di seguito specificati.

Naspi e dimissioni

Il lavoratore o la lavoratrice hanno diritto all’indennità Naspi anche a seguito di dimissioni rese durante il periodo tutelato di maternità, ex D. Lgs 151/2001 art. 55. Per poter accedere alla Naspi le dimissioni devono essere date nel periodo che va dai 300 giorni prima della data presunta del parto fino al compimento del primo anno di vita del figlio.

Il lavoratore ha inoltre diritto alla Naspi in caso di dimissioni per giusta causa. L’INPS con la Circolare 94/2015 fa un breve elenco a titolo esemplificativo dei casi in cui il lavoratore può rassegnare le proprie dimissioni per giusta causa.

Per le dimissioni per giusta causa l’Inps così come da Circolare n. 97/2003 l’INPS sì è conformato all’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale nella sentenza 269/2002. Con questa pronuncia la Corte Costituzionale ha affermato che sussistono i requisiti per dare le dimissioni “per giusta causa” qualora le dimissioni non siano riconducibili alla libera scelta del lavoratore, ma siano indotte da comportamenti altrui, idonei ad integrare la condizione di improseguibilità del rapporto di lavoro.

Quindi la NASpI deve essere riconosciuta nei casi di dimissioni intervenute per giusta causa, ovvero quando si sia verificata una causa che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro, che “costringe” il lavoratore a dimettersi.

La giurisprudenza nel corso degli anni ha riconosciuto le dimissioni per giusta causa per i seguenti casi:

mancato pagamento della retribuzione;

aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;

modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative;

mobbing, intendendosi per tale la lesione dell’equilibrio psico-fisico del lavoratore, a causa di comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici o dei colleghi (per tutte, Corte di Cassazione, sentenza n. 143/2000);

notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione dell’azienda (Corte di Giustizia Europea, sentenza del 24 gennaio 2002);

spostamento del lavoratore da una sede aziendale ad un’altra, senza che sussistano le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” (Corte di Cassazione, sentenza n. 1074/1999).

comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente (Corte di Cassazione, sentenza n. 5977/1985).

Contestualmente alla domanda di Naspi il lavoratore deve allegare una autocertificazione a norma di legge in cui dichiara la sua volontà di “difendersi in giudizio” nei confronti di un comportamento illecito del datore di lavoro, nonché altri documenti come ad esempio:

le diffide a pagare inviate al datore di lavoro;

gli esposti;

le denunce;

le citazioni;

i ricorsi d’urgenza ex art. 700 c.p.c.;

le sentenze;

ogni altro documento idoneo.

Deve inoltre impegnarsi a comunicare l’esito della controversia giudiziale o extragiudiziale. Qualora le dimissioni siano determinate da mancato pagamento della retribuzione, il lavoratore non dovrà più allegare alcuna dichiarazione da cui risulti la volontà di “difendersi in giudizio”.

Attenzione, se l’esito della controversia non riconosce la giusta causa di dimissioni, l’Inps recupererà la Naspi eventualmente corrisposta, così come già avviene nel caso in cui il lavoratore, a seguito di licenziamento giudicato illegittimo, viene reintegrato nel posto di lavoro.

Naspi e risoluzione consensuale

Così come per le dimissioni anche a seguito di risoluzione consensuale il lavoratore non ha diritto alla Naspi, tranne che in alcuni casi previsti dalla legge.

La risoluzione consensuale infatti non impedisce il riconoscimento della prestazione:

per la risoluzione consensuale nell’ambito della procedura conciliativa presso la Direzione Territoriale del Lavoro L. n. 604 del 1966, come sostituito dalla Legge 28 giugno 2012 n.92;

nell’ipotesi di licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione di cui D. Lgs n. 23 del 2015, proposta dal datore di lavoro entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (ex art. 6 della legge n.604 del 1966);

qualora la risoluzione consensuale intervenga a seguito del rifiuto del lavoratore al proprio trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 km dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblici.

(Autore: Antonio Maroscia)

(Fonte: Lavoro&Diritti) 


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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