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Furto lieve, sì al licenziamento per il venir meno della fiducia


Ordine Informa

Con una  sentenza del Tribunale di Milano, relativamente al licenziamento per appropriazione di beni aziendali, viene sancito il principio secondo cui non conta il quantum del danno , conta piuttosto la violazione della fiducia. Difatti nel caso di appropriazione di beni aziendali, anche di modico valore, il comportamento è talmente evidente e grave da rendere irrilevante la codificazione di una norma comportamentale ad hoc. Si tratta, difatti, di una severa violazione di ciò che la coscienza sociale considera il minimum etico e idonea, in quanto tale, a rilevare quale giusta causa di licenziamento in forza delle previsioni generali dell’articolo 2119 del Codice civile e dell’articolo 3 della Legge n. 604/1966.

La delicatezza della questione è il rapporto di proporzionalità tra il provvedimento espulsivo e il  danno arrecato al datore di lavoro, che viene risolta dalla giurisprudenza a sfavore del lavoratore per la rottura irrimediabile del vincolo fiduciario che il fatto implica.

Il caso

Secondo i fatti alla base della pronuncia del Tribunale di Milano, un lavoratore, durante i rifornimenti di gasolio con l’autovettura aziendale, caricava i punti fedeltà sulla propria carta carburante, in misura doppia rispetto a quella normalmente spettante, raggiungendo, via via, il limite di punti per fruire del regalo personale di una confezione di pasta. Il lavoratore convinceva il distributore di carburante ad accreditargli un doppio punteggio, attraverso il riferimento a una categoria di gasolio «high performance», che non figurava nella ricevuta di pagamento, nonché attraverso la modalità self service in luogo di quella del rifornimento diretto.

Le motivazioni dei giudici

Secondo i giudici del tribunale di Milano, innanzitutto, sul fatto che la condotta così serbata dal dipendente costituisca un inadempimento non pare esservi dubbio. D’altronde, lo stesso ricorrente – sentito nell’immediato del controllo – aveva sottoscritto il «verbale di ispezione e controllo servizi» dichiarando «sono pentito di quanto accaduto e non si ripeterà più», dopo aver ammesso «la reiterazione (più e più volte) di tale condotta». Il giudice osserva che optare per la modalità di rifornimento più costosa, al solo fine di trarne un vantaggio personale, inducendo poi in errore il datore di lavoro con la produzione di documentazione fiscale attestante dati non corrispondenti al vero, costituisce una aperta e grave violazione dei più basilari doveri di correttezza e buona fede previsti dagli articoli 1175 e 1375 del Codice civile, nonché un comportamento palesemente contrario ai doveri di diligenza e fedeltà che specificamente gravano sul dipendente in virtù del disposto degli articoli 2104 e 2105 del Codice civile.

La deviazione dai principi fondanti il rapporto di lavoro subordinato è talmente evidente e grave da rendere del tutto irrilevante la codificazione di una norma comportamentale ad hoc, sia essa in policy specifiche, sia essa nel codice etico aziendale.

Quello di cui si discute, d’altronde, è un comportamento a potenziale rilevanza penale e tanto basta, a parere del giudicante, per concludere altresì per l’infondatezza della doglianza in punto di violazione del principio di proporzionalità.

In tema di sanzioni disciplinari e licenziamento, «giusta causa di licenziamento» e «proporzionalità della sanzione disciplinare» sono nozioni che la legge, per adeguare le norme alla realtà articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione, sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.

(Autore: AMS)

(Fonte: Il Sole 24Ore)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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