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Jobs act, il governo incassa la fiducia. Renzi: il sostegno all’esecutivo cresce anche al senato. L’Ue promuove la riforma


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“Gli italiani sono stanchi delle sceneggiate di alcuni, ma i senatori ieri hanno fatto un grandissimo passo in avanti”. Così, di buon mattino, il premier Matteo Renzi, arrivando alla sede del Pd, ha commentato il voto di fiducia al Jobs act. “Certo rimane l’amarezza per le immagini” dei disordini in aula. Immagini, ha aggiunto, “molto tristi per i cittadini che si domandano che senso ha”. Concetto poi ribadito: “Ci sono dei senatori che vogliono bene all’Italia e altri che continuano con le sceneggiate che stanno stancando anche i loro elettori. Continuare a fare le sceneggiate di ieri è un problema soprattutto per loro, noi andiamo avanti tranquilli”. Comunque Renzi vive il risultato come un successo. “Il sostegno al governo mi sembra che stia crescendo anche in Senato”, ha detto, commentando il risultato ottenuto ieri a palazzo Madama durante le votazioni alla fiducia sul Jobs Act. “Il margine è molto forte: 165 a 111. Sono molto contento anche dal punto di vista numerico”.
Era l’una di notte quando il governo Renzi ha incassato al Senato la fiducia sul ‘Jobs act’ con 165 sì contro 111 no. Due gli astenuti. I senatori presenti erano 279; 278 i votanti. La maggioranza era a 140. Al di là della freddezza dei numeri, le lancette sull’orologio parlamentare hanno segnato la fine di una gornata convulsa caratterizzata dall’asprezza dei lavori parlamentari e dal sostanziale sostegno internazionale dei vertici della Ue alla riforma voluta dal premier italiano. “Possono contestarci”, aveva detto Renzi rivolto alla Cgil, alle opposizioni politiche che ieri al senato avevano gettato monetine sui banchi dell’esecutivo e alle tensioni interne al ‘suo’ Partito democratico, “ma la verità vera è che questo Paese lo cambiamo. Al senato porteremo a casa il risultato oggi, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi: non molliamo di un centimetro e con tenacia raggiungeremo l’obiettivo. Quando si cambia c’è sempre qualche resistenza di troppo, ma noi andiamo avanti”. L’obiettivo dichiarato da raggiungere è la creazione di 83mila nuovi posti di lavoro. E a proposito del contratto a tutele crescenti ai neoassunti, è stato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ad annunciare: “Il governo intende modificare il regime del reintegro così come previsto dall’articolo 18”, “eliminandolo per i licenziamenti economici e sostituendolo con un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità”. Pertanto, la possibilità di reintegro dopo un licenziamento ci sarà solo per quelli discriminatori o per violazioni gravi sui disciplinari. Per i licenziamenti discriminatori e disciplinari resterà la possibilità del reintegro, ma solo per le violazioni gravi. Le novità che riguardano le norme che impattano sull’articolo 18 dei lavoratori e che entreranno nei decreti delegati varranno soltanto per le nuove assunzioni.
Tensioni in aula si diceva. Urla, cartelli, qualche spintone e monetine gettate sui banchi del governo. La bagarre al senato è scoppiata alla presentazione del maxi-emendamento sul lavoro. «C’è la drammaticità e l’urgenza di agire per cambiare insieme e velocemente», spiegava il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Dopo numerose interruzioni, il presidente Grasso aveva sospeso la seduta in Aula, espellendo il senatore Vito Petrocelli, che, per polemica, aveva agitato un foglio bianco (simbolo – par di capire – della delega in bianco che il governo intende farsi dare dalla camera alta con un voto di fiducia che sa parecchio di colpo di mano) prima di fare l’«elemosina» a Poletti, consegnandogli 50 centesimi. Ma il capogruppo pentastellato è uscito dall’aula soltanto dopo molto tempo. L’altro fronte per Renzi era stato aperto da ventisei senatori e 9 deputati, membri della Direzione Pd, che hanno firmato un documento di critica sull’emendamento. “Noi chiediamo con forza che prima della revisione delle tipologie contrattuali vengano approvate le norme sugli ammortizzatori sociali”, avevano scritto, tra le altre cose i Pd dissidenti, “emanca una definizione del contratto a tutele crescenti», sottolineano. Concludendo, la minoranza Pd ha «un giudizio non positivo sulla fiducia, che interrompe un dibattito parlamentare»: ma voteranno «sì». Secondo Pippo Civati, però, qualche senatore Pd è pronto a dimettersi, e lo farà al momento della dichiarazione di voto. Poi in serata la ripresa dei lavori, ancora una volta caratterizzati da urla, risse, senatori in piedi sui banchi, lancio di libri contro la presidenza. L’opposizione ha praticamente trasforma il Senato in un campo di battaglia.
Tensioni nel Pd, senatore Tocci minaccia dimissioni. Renzi: proverò a fargli cambiare idea
Nel bilancio della battaglia parlamentare c’è da mettere in conto anche le ferite sul corpo del Pd. In particolare nella minoranza che comunque a votato la fiducia. Ma a duro prezzo. Come dimostra la decisione del senatore Tocci di dimettersi subito dopo avere espresso il suo sì in linea con le direttive di partito. “Farò di tutto perché Walter Tocci, che è una persona che stimo molto, continui a fare il senatore”, ha detto questa mattina il presidente del Consiglio e segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, arrivando alla sede del partito per partecipare alla segreteria. “Ha espresso le proprie posizioni, ha scelto una linea politica ma ha accettato quello che il partito ha detto – ha aggiunto – la sua intelligenza, la sua passione e la sua competenza sono necessarie a un partito che ha il 41% dei consensi.
Proverò a dirgli che le sue dimissioni dal senato sarebbero un errore”.
Poletti difende la riforma: combatterà la precarietà. Fondamentale l’approvazione in parlamento della delega
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti difende la riforma: “Noi non ci limitiamo a lamentarci del fatto che ci sono pochi contratti a tempo indeterminato e troppi precari. Noi agiamo per modificare questa situazione”, ha detto il ministro. “Per le risorse è vero, ne servirebbero di più. Intanto il governo assume l’impegno a finanziare per 1,5 miliardi i nuovi ammortizzatori, insieme a questo dovranno essere meglio utilizzate le risorse attualmente disponibili e si dovranno verificare le dinamiche innescate” dalla legge Fornero. Inoltre, ha detto Poletti, “le risorse risparmiate nella riorganizzazione saranno mantenute per le finalità della riforma”. Il ministro ha poi spiegato che “Il nostro obiettivo è avere un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti che costi meno, e che sia più attraente e contenga meno incertezze e, quindi, incentivi l’imprenditore a investire di più, ad assumere di più e a non utilizzare altre tipologie contrattuali meno tutelanti”. Il titolare del dicastero di via Flavia ha inistito sull’importanza fondamentale dell’approvazione della delega da parte del parlamento: “Il governo italiano assegna all’approvazione della legge delega in materia di lavoro una importanza essenziale”, ha sottolineato. “Siamo convinti e consapevoli che su questo terreno si misura la effettiva possibilità di questo governo e di questa maggioranza di produrre quel cambiamento che i cittadini italiani si aspettano”, ha tenuto a sottolineare. Il ministro del Lavoro, a proposito dell’incontro di ieri a Palazzo Chigi con le parti sociali ha precisato: “E’ stato utile anche se non ha cambiato le rispettive posizioni”. “Credo di poter affermare che si è trattato di un confronto chiaro che ha gettato le basi per una riflessione ulteriore intorno ad alcuni elementi che non sono presenti tra le materie ricomprese nella delega come la rappresentanza e le sue regole ed il tema della contrattazione aziendale o di secondo livello. Così come con le associazioni imprenditoriali si sono affrontate le tematiche legate alla crescita e delle azioni utili a un rilancio dell’economia.
C’è bisogno di un grande ripensamento, vale per la politica, vale per il governo, vale anche per imprenditori e sindacati. Nell’opera gigantesca di cambiamento del nostro paese c’è lavoro per tutti. Ognuno per la parte propria, ma non c’è nessuno che possa, onestamente, sostenere di essere a posto, di avere già dato”, ha concluso Poletti.
Renzi promosso anche dalla Ue
Mentre in Parlamento impazzava la battaglia per l’approvazione del Jobs Act, dal vertice europeo sul lavoro riunito in queste ore a Milano è arrivato un chiaro appoggio dall’Europa al provvedimento messo in campo dal governo Renzi per contrastare la disoccupazione. “Mi congratulo con il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per l’iniziativa del Jobs Act”, ha detto il presidente della Commissione europea, Manuel Barroso che ha definito il provvedimento “una riforma importante che può avere un grande impatto” sulla competitivita’ dell’economia italiana. Un chiaro endorsement e’ arrivato anche dal segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria. In particolar modo il segretario ha rimarcato l’importanza degli “sforzi portati avanti dal premier italiano”. Anche il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha apprezzato l’operato del governo sul Jobs Act. “La crisi”, ha detto, colpisce per primi i lavoratori con meno tutele. “Voglio lodare Renzi per le riforme che ha iniziato a fare in questa direzione”.
Secondo Van Rompuy occorre “superare la barriera crescente tra chi è dentro e chi è fuori dal mondo del lavoro, tra quelli che sono protetti e quelli che non lo sono specie donne, giovani e immigrati. Questo dualismo spiega la forte crescita nella disoccupazione in alcuni Paesi”. Un plauso a Renzi e’ arrivato anche dalla cancelliera Angela Merkel che nel corso del suo intervento ha sottolineato che l’Italia sta cercando di fare questo con il Jobs Act. Per Merkel sul fronte dell’occupazione si devono eliminare le barriere presenti nel mercato del lavoro. “L’Italia sta adottando iniziative molto importanti per combattere la disoccupazione”, ha proseguito la cancelliera tedesca. Che riguardo agli strumenti per combattere la disoccupazione in Europa è stata chiara: “Abbiamo un grosso problema in Europa: la disoccupazione giovanile. Ma abbiamo cambiato qualcosa, ci sono le riforme strutturali”, ha aggiunto Merkel riferendosi al jobs act italiano e al lavoro parlamentare in corso al senato. “Non possiamo dire che non bastano i soldi. L’Ue ha dimostrato che stanzia già 9 miliardi di euro per finanziare iniziative. La commissione ha avanzato una piattaforma per lavoro. Tutti i giovani che cercano lavoro possono utilizzare questa rete. E’ importante investire ma dobbiamo sapere dove. All’epoca dell’unificazione la Germania ha fatto molto”. Il settore digitale, ad esempio, “e’ importante”
Dal canto suo il premier italiano si è detto ottimista che il provvedimento otterrà la fiducia al Senato perché “chi vuole cambiare il mondo e ha paura di guardarsi allo specchio non è credibile. L’Italia sarà credibile nella sua volontà di cambiamento solo se porterà a casa tutte le riforme che ha promesso da 30 anni e messo in cantiere concreto negli ultimi sei mesi”, ha detto il presidente del consiglio. “Un’azienda che non investe e’ finita”, ha detto ancora Renzi. “Un paese che non cambia è morto. Un’Europa che pensa solo ai vincoli è arida. Senza crescita non c’e’ lavoro, senza lavoro non c’e’ dignità, senza dignità non c’e’ Europa. Tornare dunque a porre l’attenzione sulla crescita significa chiedere all’Europa di tornare a essere se stessa”, ha concluso. Il presidente francese François Hollande ha affermato che Parigi “guarda con molto interesse a quello che fa l’Italia, cosi’ come l’Italia guarda con affetto alla Francia. E’ importante coordinare le politiche a livello europeo”,ha spiegato “ci sono alcuni paesi che possono stimolare la domanda interna come la Germania, che ha fatto le riforme già da tempo. In Francia c’è deficit ma non sono state fatte riforme per lungo tempo, ora abbiamo di fronte scelte difficili, dobbiamo ridurre il deficit e fare le riforme”. Un impegno, quello assunto da Hollande, giunto qualche giorno dopo che il governo di Parigi ha annunciato, per il 2014, un rapporto tra deficit e pil superiore al 4,4% e pronto a rientrare nell’argine del 3% soltanto nel 2017, quando invece l’Italia dovrebbe avere raggiunto finalmente, con un ritardo di un paio di anni, il pareggio di bilancio. In proposito, comunque, Merkel ha detto che sicuramente Francia e Germania rispetteranno gli impegni. Renzi ha promesso che l’Italia, a causa dei suoi problemi di “reputation” sarà costretta a rispettare il vincolo del 3% e che nella legge di Stabilità il rapporto tra deficit e pil sarà fissato al 2,9%. Il premier ha aggiunto che il tetto del 3% è ormai anacronistico e ha ricordato che fu prpprio la Germania, con il cancelliere Gerhard Schroeder, a ottenere per prima, con il consenso del governo italiano guidato allora da Silvio Berlusconi, il permesso Ue di superare il 3%. Affermazione che ha fatto uscire Merkel allo scoperto: “Ci sono paesi che devono lottare per rispettare il patto di stabilità e di crescita”, ha riconosciuto. “Siamo pronti a discutere modifiche da portare al sistema”, ha annunciato il cancelliere tedesco.
(Fonte: ItaliaOggi)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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