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Effetti della abrogazione del reato di “somministrazione fraudolenta” con il Jobs Act


Ordine Informa

Tra le modifiche meno note introdotte con il decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 in attuazione della legge delega 183/2014 (c.d. Jobs Act) vi è l’abrogazione degli artt. dal 20 al 28 del D.lgs. 276/2003 riguardanti la “somministrazione di lavoro”. La disciplina di questo istituto viene ora ridisegnata parzialmente dal capo IV del medesimo D.lgs. 81/2015 che salva però in gran parte la disciplina sanzionatoria delineata dall’art. 18 del Dlgs. 276/2003.

Tale ultimo articolo puniva, e punisce tutt’ora, con la sanzione penale dell’ammenda(1) l’esercizio non autorizzato della attività di somministrazione di lavoro (reato chiamato dalla prassi e dalla dottrina “somministrazione abusiva”) ed il corrispondente utilizzo di lavoratori somministrati da soggetti non autorizzati (c.d. reato di utilizzazione illecita). Ma la previsione del più grave reato di
“somministrazione fraudolenta”, ovvero quella posta in essere con la specifica finalità di eludere le norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, era contenuta nell’art. 28, ora abrogato.

Tale abrogazione avrà importanti effetti (non del tutto chiariti) in primo luogo sui procedimenti penali in corso, sia che si considerino i reati contavvenzionali sopra accennati come reati distinti sia che si ritenga il secondo (la somministrazione fraudolenta) solamente una forma aggravata del primo.

Effetti sull’attività di contrasto del fenomeno da parte degli organi di vigilanza Ma al di là degli aspetti penalistici, la conseguenza più importante di tale abrogazione sembra quella relativa alla possibilità per gli organi dello Stato (Ministero del Lavoro, INPS, INAIL) della corretta attribuzione della titolarità del rapporto di lavoro e dei conseguenti obblighi contributivi e retributivi.

Sino ad ora infatti la prassi del Ministero del lavoro (vedi circolari n. 7 del 22/02/2005 e n. 5 dell’11.02.2011) ha fatto conseguire dall’accertamento di una “somministrazione fraudolenta” la attribuzione del rapporto di lavoro in capo all’effettivo utilizzatore della prestazione invece che al datore di lavoro apparente.

Tale orientamento si basava sulla considerazione che la “somministrazione fraudolenta” integra necessariamente un contratto in frode alla legge, con conseguente nullità dello stesso per illiceità della causa ex artt. 1344 e 1418, comma 2, c.c..

E poiché la disciplina della somministrazione di lavoro (prima con l’art. 21, comma 4, del Dlgs. 276/2003, ed ora con l’art. 38 c.1 del D.lgs. n.81/2015) stabilisce espressamente che, in caso di nullità del contratto per mancanza di forma scritta, i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore, per analogia, anche in caso di nullità del contratto per l’illiceità

della causa, l’utilizzatore fraudolento doveva essere considerato il vero datore di lavoro. Ne discendeva che quest’ultimo era tenuto al pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali nonchè degli altri adempimento amministrativi legati al rapporto di lavoro.

Di fronte a somministrazioni di lavoro poste in essere dolosamente al fine di eludere norme di legge o di contratto collettivo (per esempio per retribuire i lavoratori con retribuzioni inferiori a quelle del CCNL applicato dall’utilizzatore, o per eludere il pagamento dei contributi ponendoli a carico di cooperative di comodo o s.r.l. insolventi) gli ispettori del lavoro erano invitati, oltre che a procedere penalmente contro gli autori, anche ad effettuare il recupero delle contribuzioni evase in capo all’effettivo datore di lavoro-utilizzatore.

Tale effetto non deriverebbe però dall’accertamento della semplice “somministrazione abusiva” in quanto, trattandosi di reato contravvenzionale, non è richiesto l’accertamento del dolo specifico e dunque della causa dell’accordo “in frode alla legge”.

Se così è con l’abrogazione della “somministrazione fraudolenta” sarebbe venuto meno per gli organi dello Stato la possibilità di contrastare efficacemente il “dumping sociale ed economico” posto in essere delle aziende che ricorrono alla somministrazione abusiva od alla somministrazione di manodopera mascherata da appalto di servizi o distacco di personale.

Le garanzie per i lavoratori e per la previdenza sociale in caso di somministrazione di lavoro Per comprendere quanto sia grave il rischio della “concorrenza sleale” non soltanto nei confronti delle imprese che assumono direttamente i loro collaboratori (facendosi carico dell’intero del costo del lavoro), ma anche nei confronti di quelle che si rivolgono alle agenzie di somministrazione autorizzate, basti pensare alle garanzie richieste per le forme regolari di lavoro esternalizzato, garanzie che non sono previste dalla legge in caso di intermediazione illecita.

La somministrazione di lavoro lecita, oggi disciplinata dal Capo IV del Dlgs. 81/2015 citato, prevede che ai lavoratori somministrati siano garantite, a parità di mansioni, condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore. Inoltre è prevista l’obbligazione in solido dell’utilizzatore con il somministratore sia per la corresponsione dei trattamenti retributivi ai lavoratori somministrati, sia per il relativo versamento dei contributi previdenziali. Si noti che la norma contenuta nel comma 2 dell’art. 35 non prevede neppure il “beneficium excussionis” in capo all’utilizzatore che potrebbe essere chiamato a retribuire direttamente il lavoratore somministrato, salvo il diritto di rivalersi sul somministratore.

Simili garanzie, seppure molto meno stringenti, sono previste dall’art. 29 del D.lgs. 276/2003 ancora in vigore, per i lavoratori utilizzati in appalti di opere e servizi “leciti.” In tal caso la legge prevede che il committente qualificato, imprenditore o datore di lavoro, è obbligato in solido con l’appaltatore e con gli eventuali sub appaltatori, entro due anni dalla cessazione dell’appalto, a
corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi nonché i contributi previdenziali ed assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione dell’appalto.

Il paradosso della assenza di garanzie nella somministrazione illecita Ebbene, a fronte di tali incisive garanzie per i lavoratori coinvolti (e per la previdenza sociale) nel caso di ricorso a contratti leciti, la normativa oggi in vigore non prevede espressamente
nessuna analoga garanzia in caso di ricorso delle imprese alla “somministrazione abusiva” o alla fornitura di manodopera mascherata da appalto o da distacco. Tali fatti illeciti sarebbero oggi solamente sanzionabili con una contravvenzione, soggetta peraltro ad oblazione.

Anche senza tener conto della attuale durata dei procedimenti penali che facilmente si risolvono con la prescrizione, è evidente che così congegnata la normativa spinge le aziende verso il ricorso a forme di intermediazione di manodopera irregolare. Decisamente più vantaggiose dell’assunzione diretta o del ricorso alle regolari agenzie di somministrazione.

Paradossalmente infatti le norme che prevedono le garanzie appena illustrate sembrano previste con riferimento alle sole forme contrattuali “regolari”. Pertanto l’utilizzatore che ricorre lecitamente alla somministrazione di lavoro da parte di aziende autorizzate, oppure stipula contratti di appalto regolari, è obbligato in solido al pagamento delle retribuzioni (che nel caso delle agenzie autorizzate non debbono essere inferiori a quelle della impresa utilizzatrice) e dei relativi contributi previdenziali dei lavoratori dell’agenzia di somministrazione o dell’impresa appaltatrice. Se invece si rivolge ad un somministratore abusivo, magari mascherando la mera fornitura di manodopera con un contratto di appalto di servizi o con un distacco, nel peggiore dei casi, una volta scoperto, se la caverebbe con una oblazione senza rispondere in alcun modo per le eventuali omissioni contributive o retributive.

Insufficienza delle tutele previste per i lavoratori somministrati illecitamente.

E certo non basta che la legge (art. 38 c. 2 del D.lgs. 81/20015 per la somministrazione l’art. 29 c. 3-bis per l’appalto illecito, art. 30 c. 4-bis per il distacco illecito) riconosca al lavoratore il diritto di rivolgersi al giudice per chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore, in quanto è evidente che il lavoratore non avrà nessuna concreta possibilità di ricorrere al giudice sino a che rimane sotto il “ricatto” occupazionale.

Inoltre l’azione individuale di un singolo lavoratore non potrà certo costituire un valido deterrente per un sistema economicamente tanto più vantaggioso quanto più applicato su vasta scala (si pensi, ad esempio, ad una catena di supermercati su scala nazionale che utilizzi nei suoi punti vendita prevalentemente personale fornito da cooperative di facchinaggio).

In linea teorica, si potrebbe sostenere che l’abrogazione del reato di somministrazione fraudolenta, anche se rende non più necessario l’accertamento del dolo specifico ai fini dell’applicazione della sanzione penale, non impedisce che un tale accertamento sia comunque
compiuto dagli organi ispettivi al fine di rilevare la nullità del contratto in frode alla legge e conseguentemente di cosiderare, ai soli fini amministrativi e contributivi, i lavoratori coinvolti alle dipendenze dell’utilizzatore.

Rimane in ogni caso la complessità e delicatezza dell’accertamento della nullità di un accordo negoziale sulla base delle norme generali del codice civile (artt. 1344 e 1418, comma 2) e l’attribuzione della titolarità di un rapporto di lavoro per analogia -con l’art. 38 c.1 del D.lgs. n.81/2015-, da parte di un organo amministrativo in assenza di una esplicita previsione normativa.

E’ facilmente prevedibile che un tale accertamento, prima giustificato dalla necessità di acquisire elementi di prova per lo specifico reato di “somministrazione fraudolenta”, dopo la abrogazione di quest’ultimo sarà difficilmente effettuato dagli organi ispettivi.

Conclusioni

E’ augurabile dunque che venga introdotta chiaramente dal legislatore (non più per via della incerta prassi ministeriale e prima che per via giurisprudenziale) una norma che, in caso di somministrazione di lavoro abusiva (o mascherata con pseudo appalti o finti distacchi) preveda che i lavoratori siano considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni.

Diversamente sarebbe più coerente e logico liberalizzare definitivamente la somministrazione di lavoro tra le imprese, non limitandola alle sole agenzie autorizzate, prevedendo però nel contempo l’obbligo di applicare condizioni economiche e normative non inferiori a quelle dei dipendenti dell’utilizzatore e la responsabilità solidale diretta delle aziende utilizzatrici con il somministratore per il pagamento dei trattamenti retributivi e dei contributi previdenziali senza limiti temporali se non quelli della ordinaria prescrizione dei diritti.

(1) Ammenda di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro, riducibile ad un quarto (€ 12,50) in caso di cessazione della condotta e pagamento in via amministrativa. Per l’abrogata “somministrazione fraudolenta” la pena era maggiorata di 20 euro, pertanto la pena complessiva era di 70 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione.

(Fonte: Diritto.it – Autore: Pala Massimiliano)
“Le considerazioni contenute nell’articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegnano in alcun modo l’amministrazione di appartenenza”.


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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