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Lavoro a progetto: un passo in avanti e uno indietro nella lotta agli abusi


Ordine Informa

Scompare il lavoro a progetto, ma rinasce – seppure dentro confini più stretti di quelli preesistenti – la collaborazione coordinata e continuativa; questa, in sintesi, la portata della riforma appena varata dal Governo sul lavoro parasubordinato.
La riforma prevede che, dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del “codice dei contratti”, saranno abrogate tutte le norme che oggiAggiungi un appuntamento per oggi regolano il lavoro a progetto (restando in vita, fino alla loro scadenza, solo i contratti in corso).
Pertanto, viene meno la possibilità di utilizzare questa particolare forma di collaborazione coordinata e continuativa, ma scompaiono anche tutte quelle norme che avevano la finalità di contrastare gli abusi: l’obbligo di redigere un progetto, il vincolo al raggungimento di un risultato, le presunzioni di subordinazione, i criteri di fissazione del compenso e, infine, l’obbligo di definire un termine di durata al rapporto.
Questa innovazione si combina con una scelta che pare contraddittoria rispetto alla dichiarata volontà di contrastare l’utilizzo del lavoro parasubordinato: viene lasciato in vita il contratto di collaborazione coordinata e continuativa “ordinario”, privo cioè degli obblighi connessi al lavoro a progetto. Tale contratto potrà quindi essere stipulato senza la necessità di definire un progetto, libero da qualsiasi vincolo di durata, svincolato dall’obbligo di raggiungimento di un risultato, e in mancanza di criteri legali per la determinazione del compenso.
Per evitare che si ripetano gli abusi del passato, la nuova disciplina stabilisce che, dal 1 gennaio 2016, per i rapporti di collaborazione (salvo i casi per i quali la legge prevede delle deroghe) si “applica” la disciplina del lavoro subordinato, in presenza di alcuni indicatori specifici.
Viene introdotta una sorta di presunzione di subordinazione, che opera quando la prestazione del collaboratore ha carattere esclusivamente personale (resa, cioè, senza un’organizzazione di impresa) e si svolge in maniera continuativa nel tempo.
Questi elementi non bastano, da soli, a far scattare la presunzione; è anche necessario che le modalità di esecuzione della prestazione siano “organizzate dal committente”. La legge non specifica il concetto di organizzazione della prestazione, ma indica come forme possibili in cui si manifesta questo elemento la determinazione, a cura del committente, dei tempi e del luogo di lavoro.
L’inesistenza dei requisiti che rendono applicabile la presunzione di subordinazione può essere oggetto di certificazione: le parti, quindi, possono recarsi presso una delle sedi abilitate dalla legge e, se ottengono il provvedimento di certificazione, possono rendere più difficili eventuali ispezioni ammnistrative (minore è invece l’impatto sull’eventuale contenzioso azionabile dal collaboratore).
Gli indicatori appena introdotti non cancellano quelli che, storicamente, sono stati usati dalla giurisprudenza per sanzionare gli abusi; pertanto, a prescindere dai nuovi requisiti, le collaborazioni potranno sempre essere convertite in lavoro subordinato in caso di esercizio da parte del committente di un potere direttivo, organizzativo e disciplinare tipico del datore di lavoro subordinato.
I nuovi indici di subordinazione saranno efficaci solo dal 1 gennao 2016; considerato che il lavoro a progetto viene abrogato immediatamente, ci sarà una “finestra” di circa 6 mesi nel corso della quale la collaborazione coordinata e continuativa potrà essere utilizzata con le stesse regole vigenti prima della legge Biagi.
(Fonte: Lavoro&Impresa)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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