Skip to main content

Somministrazione e limiti di durata: una proposta per uscire dai possibili conflitti interpretativi


Ordine Informa

Dalla sua introduzione nel 2012, la norma del contratto a termine che impone di considerare anche i periodi di missione in somministrazione a termine (con la stessa persona) nel computo della durata massima che se superata fa scattare la trasformazione del contratto in tempo indeterminato si è posta al centro dell’attenzione: quali effetti sulla somministrazione da sola considerata? Si stabilisce in una disciplina che non riguarda la somministrazione un limite anche per la somministrazione?
Commentando la nuova norma il Ministero del Lavoro scrisse che doveva intendersi come limite interno al contratto a termine non alla somministrazione. Cosi che il solo ricorso alla somministrazione non avrebbe generato l’effetto della trasformazione; altrettanto nel caso il limite fosse stato infine superato con un rapporto di somministrazione dopo periodi di contratto a termine.
Nel giro di pochi anni, la norma ha subito più di una modifica, l’ultima con l’art. 19 comma 2 del freschissimo d.lgs. 81/2015.
A mia opinione – che riporto qui, stimolato dal recente contributo di Filippo Chiappi su questo blog – la nuova formulazione non cambia la fondatezza dell’interpretazione ministeriale.
Qualche dato testuale a riguardo:
vale sempre la considerazione che trattasi di previsione inserita nella disciplina del contratto di lavoro a termine. Il contratto di somministrazione è un contratto commerciale che, nella sua versione a termine, non riporta previsione normativa di durata massima.
“la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore… non può superare i trentasei mesi”: il contratto a termine genera la relazione “datore di lavoro-lavoratore”; nel rapporto in somministrazione la relazione si crea tra agenzia e lavoratore sulla base di un contratto di lavoro, al quale, tra l’altro, queste norma non si applica.

“ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione…”: il “tale periodo” è il periodo massimo di “utilizzo” del contratto a termine.

“qualora il limite (…) sia superato (…), il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato…”: il termine “il contratto”, che si trasforma, non può che essere il contratto a termine, non esistendo un contratto tra lavoratore e utilizzatore; così che, solo superando il limite in vigenza di un contratto a termine si genera la trasformazione.

Fermo ciò, se si decide di essere cauti non sapendo cosa ne pensano i giudici (e non volendo essere i primi a scoprirlo…) comprensibile; ma trattasi di decisione che prescinde dalle norme, che nasce da un retro-pensiero sulla basilare avversione dei giudici verso la somministrazione e che – nella maggior parte dei casi – genera l’effetto di avere un disoccupato in più piuttosto che uno “stabilizzato” in più.

Dare centralità al contratto a tempo indeterminato è un valore tuttora attuale nel contesto italiano (non solo in termini prettamente giuslavoristici) e i commenti di chi ha contribuito alla stesura delle norme sull’esonero contributivo e le “tutele crescenti” ci hanno chiaramente spiegato i presupposti economici e sociali di questa scelta.

E’ sano pensare che relazioni a termine (“dirette” o in somministrazione) possano avere una conferma trascorso un certo periodo di tempo, in un percorso di crescita, solidità, investimento… O che – dall’altro lato – proseguire per tanti anni una relazione di lavoro con continue scadenze non sia indice di buona gestione. Ancor prima di qualsiasi chirurgica interpretazione o della pronuncia di un giudice.
Ma dove non sia possibile un’assunzione “diretta” a tempo indeterminato, spesso ci si dimentica che una via alternativa all’interruzione della relazione (al disoccupato in più) c’è.
Se è vero che in un rapporto di somministrazione la tutela del lavoratore trova la sua base nella relazione tra quest’ultimo e l’agenzia; e se, del resto, questo è il presupposto che può dare corpo alla ratio di distinguere le regole del contratto a termine da quelle della somministrazione in coerenza con le norme europee; bene, è tra agenzia e lavoratore che va pensata come possibile la trasformazione.
Decidendo poi quale sia lo strumento più consono per continuare a concedere all’utilizzatore quella flessibilità che gli permetta di proseguire la relazione invece di interromperla; la somministrazione a tempo indeterminato senza preoccupazioni, oppure la somministrazione a termine col brivido di applicare le norme secondo la loro lettera.

(Fonte: Lavoro&Impresa) 


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
X