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Scappo all’estero? Un giovane su due ha la valigia pronta prima della laurea.


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Non resta che Bruxelles. In Italia quasi un giovane su 2 (il 48,9%) pianifica il trasferimento all’estero fin dagli anni dell’università o del liceo, con punte del 52% nelle regioni del nord. L’Europa? Ha seminato più di una delusione, ma si conferma «l’unica opportunità» nelle prospettive di oltre il 60% degli under 30. Più del doppio rispetto ai coetanei che la declassano a vincolo (fiscale) sul proprio futuro. Lo rivela il Rapporto Giovani, redatto dall’Istituto Toniolo con la collaborazione della Cattolica di Milano e il supporto di Intesa San Paolo e Fondazione Cariplo.
Il dato, in sé, aggiungerebbe poco a un fenomeno già descritto da alcune ricerche come una perdita da 40mila euro per ogni neolaureato o neoprofessionista in fuga altrove. Il problema è che l’addio ad aziende e produzione di casa nostra sta diventando un passaggio “obbligato” fin dai primi esami sui banchi dell’università: «In sé non è una novità, alcuni studenti italiani hanno sempre progettato di andare all’estero in via definitiva. Ma ora siamo su percentuali che superano il 50%: un tempo non si andava oltre un caso 4, un caso su 5» spiega al Sole 24 Ore Alessandro Rosina, professore di demografia e statistica sociale alla Cattolica di Milano. Rosina, tra i coordinatori del Rapporto che monitora prospettive e speranze professionali di più di 9mila giovani, ribadisce pro e contro di una mobilità che si sta affacciando come sbocco unico fin dagli ultimi anni di liceo. In positivo c’è l’effetto Erasmus, con l’apertura di frontiere e prospettive occupazionali fuori dal paese d’origine; in negativo, la «consapevolezza che non ci saranno opportunità di nessun tipo in Italia. Prima ci si laureava e ci si scontrava con il mercato del lavoro. Ora si intuisce da subito che ci sarà ben poco da fare, se si resta qui» evidenzia Rosina.
E dove vanno i talenti, se non in Germania, Scandinavia, Regno Unito? L’Euro-scetticismo attecchisce ovunque, ma il Vecchio Continente – States a parte – resta la meta privilegiata del flusso di talenti italiani. La contraddizione tra risentimenti e fiducia nell’Unione Europea si riassume in due dati, forniti da un approfondimento del Rapporto su un campione di 1.800 under 30. Da un lato ben il 58% degli intervistati giudica «sostanzialmente fallito» l’esperimento europeo, con picchi di 2/3 tra i soggetti con titoli di studio medio o basso.
Dall’altro più del 60% degli intervistati intravvede ancora un’opportunità nella Ue, contro il 26,54% di chi la liquida come un «vincolo» e poco altro sul proprio futuro. «Oltre il 60% dei giovani considera l’Europa un’opportunità, non un limite. Vuol dire qualcosa» sottolinea Rosina. E l’insoddisfazione? Il 58% non è una fetta qualsiasi. Soprattutto ora che lo scetticismo prende piede “perfino” nei paradisi del welfare della Scandinavia «L’insoddisfazione deriva dal fatto che la Ue non è riuscita a produrre politiche che migliorassero la propria condizione e il benessere di tutti. Insomma: non aver fatto sistema, perché in Germania e altrove il tasso di disoccupazione giovanile e i sistemi di inserimento sul lavoro non sono nemmeno comparabili a quelli italiani».
E qui, il deficit è tutto di casa nostra. Come già riportato dal Sole 24 Ore, l’Italia investe in un settore cruciale per l’occupazione come l’R&D (ricerca e sviluppo) appena l’1,25% del Pil. Un terzo della Finlandia (3,80%), la metà o qualcosa in meno di Svezia (3,39%), Danimarca (2,98%), Germania (2,89% )… «Se uno va a vedere qualsiasi indicatore che si possa prendere a riferimento come opportunità per i giovani, l’Italia è fanalino di coda – spiega Rosina – E il miglioramento è lentissimo, non converge con la media europea». Del resto, «uno dei motivi principali che spingono i giovani ad andare alll’estero sono proprio strumenti e risorse per fare meglio.
(fonte Il Sole24 Ore)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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