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Lavoratori, controlli liberi


Ordine Informa

I lavoratori sono controllabili a distanza dal datore di lavoro senza necessità di alcuna autorizzazione né sindacale né amministrativa. D’altra parte i lavoratori sono comunque garantiti dalle regole poste a tutela della loro privacy. È questa la sintesi estrema di un dibattito estivo che si è infuocato dopo l’approvazione degli ultimi decreti legislativi sul Jobs act. Procediamo con ordine e cerchiamo di capire, concretamente, cosa cambia e quali sono i rischi che corrono i dipendenti nell’utilizzo dei più comuni strumenti aziendali: computer, telefonino ecc.
Si possono distinguere i controlli a distanza in due categorie. Da una parte, quelli effettuati con strumenti finalizzati esclusivamente al controllo del lavoratore. In questo caso non cambia nulla, questi controlli sono in linea di massima vietati.
Le novità introdotte con il Jobs act riguardano invece i controlli indiretti. Pensiamo all’utilizzo di strumenti sempre più comuni come le telecamere agli ingressi, i computer, i cellulari. Sono strumenti che hanno finalità produttive evidenti ma che, indirettamente, possono essere utilizzati anche per il controllo dei lavoratori.
Prima erano consentiti solo a certe condizioni (esigenze organizzative, sicurezza del lavoratore, tutela del patrimonio aziendale) e sulla base di un accordo collettivo o specifica autorizzazione della direzione territoriale del lavoro. Ora è intervenuta la liberalizzazione, nel senso che il datore di lavoro può fornire gli strumenti senza alcun problema. Non si tratta però di una liberalizzazione assoluta. Perché se il nuovo articolo 4 dello Statuto dei lavoratori non richiede più un preventivo controllo sindacale o amministrativo, restano pur sempre valide le norme previste dal codice della privacy e in particolare il provvedimento del Garante del n. 13 del primo marzo 2007. La conseguenza è che, se il datore di lavoro vuole utilizzare questi strumenti anche per controllare la prestazione lavorativa dovrà rispettare una serie di condizioni. Intanto deve predisporre e rendere noto ai dipendenti un regolamento aziendale che spieghi cosa si può e cosa non si può fare con questi strumenti. Poi dovrà effettuare i controlli nel modo meno invasivo possibile, e preceduti da un’informativa, oltre che proporzionati alla gravità della violazione che si intende verificare. Per esempio il datore di lavoro dovrà preventivamente informare su come e quando saranno effettuati i controlli: indicando in ipotesi che una volta al mese saranno controllati, anche da remoto, tutti i computer aziendali e verranno eliminati tutti i file .exe.
Anche i controlli sulla singola postazione devono rispettare il principio di gradualità, per cui prima si dovrà verificare per esempio quante ore si perdono su internet in un certo reparto, poi quanti siti si visitano, poi magari anche quali siti vengono visti da ogni singolo computer. Idem per la posta elettronica: vanno indicate le modalità d’uso e pure le modalità di controllo. Se ci fosse bisogno di aprire le caselle di posta elettronica del lavoratore, questo dovrà essere fatto in contraddittorio, alla presenza di un fiduciario del dipendente.
Sono ammessi i controlli difensivi, quelli cioè nei quali l’azienda cerca di determinare se un comportamento illecito è stato compiuto dal dipendente: in questo caso l’apertura della casella di posta elettronica del lavoratore è giustificata dalla giurisprudenza come esercizio di un diritto aziendale. Ma si tratta di una categoria diversa rispetto all’esercizio del controllo sulla produttività del dipendente.
In fin dei conti la riforma non fa altro che adeguare la disciplina normativa all’evoluzione della tecnologia utilizzata in azienda, ben diversa da quella degli anni ‘70. E pazienza se questo ha comportato anche il venir meno di qualche prerogativa alla quale i sindacati si erano affezionati.
(Autore: Marino Longoni)
(ItaliaOggi)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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