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La certificazione della collaborazione coordinata: una strada per evitare la “presunzione” di subordinazione introdotta dal Jobs Act?


Ordine Informa

La nuova disciplina della collaborazione coordinata e continuativa impone una revisione profonda dei criteri e delle strategie di gestione del lavoro parasubordinato da parte dei committenti. Dal 25 giugno scorso, infatti, è venuto meno l’impianto del lavoro a progetto, ed è iniziata una fase transitoria che si completerà il 1 gennaio del 2016. Durante questa fase, il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sarà slegato dall’obbligo di redazione del progetto e dalla necessità di indicare una data di realizzazione del progetto medesimo, e troveranno applicazione le poche regole che disciplinano la collaborazione coordinata e continuativa. Questa fase transitoria si concluderà, come detto, il 1 gennaio del 2016: da tale data, ferme restando le regole sopra ricordate, entrerà in vigore la grande novità della riforma, il c.d. criterio dell’etero-organizzazione. Sulla base di questo criterio, al rapporto di collaborazione coordinata e continuativa si dovrà applicare integralmente la normativa sul lavoro subordinato, ogni volta che le modalità di esecuzione della prestazione (nozione che include, per espressa previsione legislativa, anche l’individuazione del tempo e del luogo di lavoro) saranno organizzate dal committente.
L’applicazione del criterio riguarderà tutti i rapporti di collaborazione instaurati o comunque in corso a partire da tale data, con la sola eccezione di quelli sottoscritti da alcuni soggetti speciali (i collaboratori operanti in settori dove esistono accordi collettivi che regolano il lavoro parasubordinato, i professionisti iscritti agli albi, gli amministratori e i membri dei collegi sindacali, i collaboratori delle società sportive dilettantistiche).

Per chi non rientrerà in questo elenco, l’unica opportunità di sfuggire alle rigide maglie del nuovo requisito sarà legata all’ottenimento di un provvedimento di “certificazione”. Si tratta di un provvedimento emesso da una delle commissioni autorizzate dalla legge (istituite da Università, ordini provinciali dei consulenti del lavoro, parti sociali, Ministero del Lavoro e Direzioni Territoriali del Lavoro), che di norma serve ad attestare la corretta qualificazione contrattuale di un determinato rapporto di lavoro. Il d.lgs. n. 81/2015 ha arricchito la funzione tipica della certificazione, precisando che il provvedimento può attestare anche l’assenza del requisito della c.d. etero-organizzazione. La procedura di certificazione, in questi casi, si svolge secondo le regole ordinarie: le parti, con un’istanza scritta, chiedono alla commissione l’emissione del provvedimento. Dopo aver ricevuto l’istanza, la Commissione – dopo aver svolto un’istruttoria finalizzata a verificare se il contratto ha correttamente “fotografato” il rapporto sostanziale e, come visto, se esistono poteri organizzativi sul committente – decide se rilasciare oppure negare il provvedimento. Una volta emesso, il provvedimento di certificazione conferisce una particolare forza legale al contratto: la qualificazione del rapporto o l’inesistenza del requisito dell’etero organizzazione non può essere contestata da terzi, ma può essere rimossa solo da un giudice del lavoro, all’esito di un apposito procedimento giudiziale avviato su iniziativa del collaboratore o degli organi di vigilanza. L’impatto più rilevante del provvedimento riguarda proprio le ispezioni sul lavoro, che non possono concludersi con l’emissione di una sanzione prima che sia rimossa, con sentenza, l’efficacia della certificazione.

(Autore: Giampiero Falasca, Il Sole 24 Ore) 

(Fonte: Lavoro&Impresa) 


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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