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Il premio di fedeltà si calcola nel TFR


Ordine Informa

Il trattamento di fine rapporto aumenta per via dell’erogazione al dipendente del premio fedeltà in quanto emolumento collegato allo svolgimento dell’attività lavorativa, salvo che il Ccnl disponga diversamente.
Nella base di calcolo per determinare l’ammontare del TFR per i dipendenti degli enti creditizi va considerato il premio fedeltà: esso, infatti, trova la propria giustificazione nella protrazione dell’attività lavorativa per un tempo prolungato. È quanto chiarito da una recente sentenza della Cassazione [1].
Secondo quanto si legge nel provvedimento, il premio fedeltà che l’azienda riconosce ai dipendenti con maggiore anzianità di servizio va calcolato nel trattamento di fine rapporto perché connesso allo svolgimento del rapporto di lavoro (anche se non all’effettiva prestazione lavorativa) e, come tale, ha natura retributiva. Solo una espressa previsione del contratto collettivo nazionale potrebbe escludere il computo di tale emolumento.
Il Tfr è costituito dalla sommatoria di quote di retribuzione annuale accantonate. Se un tempo esso veniva calcolato prendendo a riferimento l’ultimo stipendio percepito dal lavoratore, oggi le cose non stanno più così e a rilevare, invece, è soprattutto quanto percepito nel corso della vita lavorativa e a quale titolo avviene l’erogazione. Dunque vanno a incrementare la quota di accantonamento del TFR tutti quei pagamenti collegati a un evento riconducibile al rapporto di lavoro; restano fuori solo le “voci” della busta paga determinate da prestazioni richieste da ragioni aziendali “del tutto eventuali, imprevedibili e fortuite”. Il premio fedeltà previsto dal contratto integrativo aziendale, in particolare, rappresenta una gratifica che il datore riconosce al dipendente perché il rapporto si protratto per un certo numero di anni: anche se non risulta legato alla prestazione deve comunque ritenersi erogato a titolo non occasionale, laddove resta irrilevante in proposito la ripetitività regolare e continua dell’emolumento.
La vicenda
Un dipendente di banca agiva in giudizio al fine di far accertare il diritto al computo del premio di fedeltà previsto dalla contrattazione collettiva applicata nel conteggio del TFR a lui spettante. Il Tribunale adito accoglieva la domanda e a sua volta anche la Corte d’appello.
La sentenza
Non fa breccia neanche sulla Cassazione la tesi secondo cui il premio fedeltà si deve considerare come un emolumento di natura straordinaria ed occasionale e dunque non computabile nel calcolo del TFR.
Come il premio di fedeltà, anche altri emolumenti vanno considerati quali elementi della retribuzione e, quindi, da calcolare per il Tfr: si pensi al premio di anzianità alla scadenza del venticinquesimo anno di servizio e alla maggiorazione del premio di rendimento.
LA SENTENZA
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 ottobre – 19 novembre 2015,
n. 23701
Presidente Stile – Relatore Napoletano
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Venezia, confermando la sentenza del Tribunale di Venezia, accoglieva la domanda del lavoratore in epigrafe proposta nei confronti della Cassa di Risparmio di Venezia S.p.A. di cui era dipendente, diretta ad ottenere l’accertamento del suo diritto al computo nel TFR del premio di fedeltà previsto dalla contrattazione collettiva integrativa aziendale.
A base del decisum la Corte del merito poneva il fondante rilevo secondo il quale il premio di fedeltà andava computato nella base del calcolo del TFR poiché trovava la propria fonte nella protrazione dell’attività lavorativa per un certo tempo ed era rigorosamente collegato allo svolgimento del rapporto di lavoro sicché aveva i requisiti di dipendenza dal rapporto stesso e di non occasionalità di cui all’art. 2120 cod. civ..
Aggiungeva, poi, la predetta Corte che dalle disposizioni dei CCNL del 1994 e del 1991 non si evinceva in modo certo ed inequivoco la volontà di escludere dal TFR un compenso, quale quello del premio di fedeltà, contraddistinto da uno scopo gratificativo e nel contempo connesso alla protrazione dell’attività lavorativa per un certo tempo.
Avverso questa sentenza la Cassa di Risparmio di Venezia S.p.A. ricorre in cassazione sulla base di tre censure.
Resiste con controricorso la parte intimata.
Vengono depositate note illustrative.
Motivi della decisione
Con la prima censura la società ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2120 cc, 12 delle disp. att. delle leggi in generale in combinato disposto con l’art. 28 CIA Carive del 3.4.1992, sostiene che il premio fedeltà previsto dall’art. 28 del CIA Carive 3.4.1992 avendo natura occasionale non può essere, ai sensi dell’art. 2120 cc,computato nel TFR.
Con la seconda censura la società, allegando violazione dell’art. 112 cpc in relazione alle norme contrattuali, prospetta che la Corte del merito si è pronunciata oltre i limiti del ricorso introduttivo del giudizio ignorando che solo nelle note conclusionali il lavoratore ha preso posizione in ordine all’art. 45 del CCNL ACRI 19.12.1994.
Con il terzo motivo, la società deducendo violazione dell’art. 45 del CCNL ACRI del 19.12.94 in relazione all’art. 2120 cc nonché violazione degli artt. 13 62, 1363 e 1366 cc in relazione all’art.45 del CCNL ACRI 19.12.1994, critica la sentenza impugnata per aver i giudici di appello ritenuto che le parti sociali non abbiano inteso con la denunciata norma disciplinare anche la base di calcolo del TFR elencando quali voci computare e quindi escludendo quelle non contemplate.
La seconda censura non è scrutinabile poiché la società, in violazione del principio di autosufficienza non ha trascritto, almeno nella parte che interessa, il testo del ricorso introduttivo del giudizio così impedendo a questa Corte qualsiasi sindacato di legittimità.
Né risulta osservato il disposto dell’art. 3 69 n. 4 cpc, che impone a pena d’improcedibilità, di depositare insieme al ricorso gli atti processuali sui – quali lo stesso si fonda.
Le altre censure, che in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico giuridico vanno trattate unitariamente, sono infondate.
Occorre preliminarmente rilevare che, come affermato da questa Corte in plurime occasioni, l’abbandono da parte del legislatore del 1982 della nozione di “continuità” ravvisabile nel vecchio testo dell’art. 2121 cc e la sostituzione del sistema di determinazione del trattamento di fine rapporto non più basato, come in passato, sull’ultima retribuzione percepita, ma sulla sommatoria di quote di retribuzione annue accantonate, ha condotto la prevalente giurisprudenza a non assegnare rilievo alla ripetibilità e/o alla frequenza delle erogazioni ma a far leva sulla “qualità” dell’emolumento corrisposto, dando così rilevanza al titolo della erogazione, riscontrando detta connessione ogni volta che vi sia un collegamento tra un certo evento correlato al rapporto lavorativo e l’emolumento stesso: è stato dato, così, decisivo rilievo, come da ultimo annotato da Cass. 21 luglio 2014, n. 16591, alla derivazione eziologica tra erogazione della prestazione e rapporto lavorativo escludendo solo quelle prestazioni collegate a ragioni aziendali del tutto eventuali, imprevedibile e fortuite (cfr. ex plurimis, Cass. 5 giugno 2000, n. 7488; si veda anche Cass. 2 agosto 2002, n. 11607; id. 5 febbraio 2003, n. 1693; 9 aprile 2008, n. 9252; 21 aprile 2008, n. 10303).
Tra quest’ultime non può certo essere compreso il premio di anzianità la cui derivazione eziologica, come accertato dalla Corte del merito, dal rapporto lavorativo è evidente, con la conseguente sua computabilità nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto; quindi, in mancanza di esplicita – esclusione, deve ritenersi facenti parte della base di calcolo del t.f.r..
Né può sottacersi che questo giudice di legittimità ha già affermato che in tema di trattamento di fine rapporto, premesso che la nozione di retribuzione accolta dal secondo comma dell’art. 2120 cod. civ. prescinde dalla ripetitività regolare e continua e dalla frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, i quali vanno esclusi dal calcolo del trattamento di fine rapporto solo in quanto sporadici ed occasionali, tali essendo le prestazioni collegate a ragioni aziendali del tutto eventuali, imprevedibili e fortuite, il premio fedeltà è computabile nella base di calcolo ai fini della determinazione del trattamento medesimo, trovando la propria fonte di riferimento sostanziale nella protrazione dell’attività lavorativa per un certo tempo ed essendo rigorosamente collegato allo svolgimento del rapporto di lavoro, anche se non alla effettiva prestazione lavorativa (Cass. 9 aprile 2008, n. 9252).
Tanto premesso va evidenziato che se pure è fondata la tesi secondo la quale, ai sensi dell’art. 2120 cod. civ., comma 2, la contrattazione collettiva è abilitata a definire liberamente la retribuzione utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, escludendovi o includendovi qualsiasi voce, spettando all’autonomia delle parti determinare il peso che questa forma di retribuzione differita deve assumere nell’economia del rapporto, tuttavia quando la contrattazione collettiva non disponga altrimenti si applica, pur con riferimento alle singole voci – in denaro o in natura – erogate a titolo non occasionale, la regola della onnicomprensività della retribuzione.
Analogamente va ritenuto quando la contrattazione collettiva non sia chiaramente ed univocamente espressiva della volontà delle parti contraenti a livello nazionale di escludere una determinata tipologia di emolumento dal computo del t.f.r. (cfr. Cass. 21 luglio 2014, n. 16591 cit.; Cass. 23 marzo 2001, n. 4251; id. 5 novembre 2003, n. 16618; 8 gennaio 2003, n. 96).
Nel caso di specie, non è revocabile in dubbio, che l’interpretazione fornita dalla Corte territoriale delle disposizioni contrattuali invocate dalla ricorrente, e cioè gli artt. 40 del CCNL ACRI del 19.3.1987 e 45 del CCNL ACRI del 19.12.94, non contrastando affatto con il loro tenore letterale, sia corretta per quanto riguarda l’identificazione della comune intenzione delle parti trovando questa riscontro, ex art. 1362 ult. comma cod. civ., nel successivo CCNL del 1999 (art. 65) dove le parti, a differenza della precedente contrattazione collettiva, definiscono la retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto con analitica elencazione dei singoli elementi utili.
Del resto questa Corte proprio con riferimento al settore del credito ha ritenuto corretta tale interpretazione, non senza sottolineare, condivisbilmente, che l’art. 65 CCNL del 1999, stipulato in sostituzione del precedente CCNL del 1994, nel prevedere una elencazione tassativa degli emolumenti che costituiscono la retribuzione annua di riferimento per il calcolo del TFR, stabilisce espressamente, all’ultimo comma, che nei confronti del personale destinatario del contratto collettivo del 1994 continua ad applicarsi quest’ultimo contratto (Cfr. Cass. 6 marzo 2009, n. 5569; id. 15 marzo 2010, n. 6204), sicché per detto personale è irrilevante il richiamato art. 65 quanto al computo del premio di fedeltà nel TFR.
Consegue che, muovendo dalla premessa della mancanza di un intervento derogatorio delle parti collettive, correttamente la sentenza impugnata ha fatto riferimento alle previsioni di legge, valutando la natura dei compensi in esame alla stregua del criterio di dipendenza dal rapporto e non di occasionalità.
Ed infatti, in tema di trattamento di fine rapporto, premesso che la nozione di retribuzione accolta dall’art. 2120 cod. civ., comma 2, prescinde dalla ripetitività regolare e continua e dalla frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, i quali vanno esclusi dal calcolo del trattamento di fine rapporto solo in quanto sporadici ed occasionali, tali essendo le prestazioni collegate a ragioni aziendali del tutto eventuali, imprevedibili e fortuite, il premio di anzianità erogato al lavoratore in occasione del 20^ anno di anzianità è computabile nella base di calcolo ai fini della determinazione del trattamento medesimo, trovando la propria fonte di riferimento sostanziale nella protrazione dell’attività lavorativa per un certo tempo ed essendo rigorosamente collegato allo svolgimento del rapporto di lavoro, anche se non alla effettiva prestazione lavorativa (si vedano Cass. 21 luglio 2014, n. 16591 cit.; id. 18 agosto 2004, n. 16171; id. 9 aprile 2008, n. 9252; 24 febbraio 2009, n. 4418).
Il ricorso in conclusione va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese giudiziali liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per compensi oltre accessori di legge.
[1] Cass. sent. n. 23701/15 de. 19.11.2015.
(Autore: La Legge per tu


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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