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Trasferimento del lavoratore: casi legittimi e illegittimi


Ordine Informa

La legittimità del trasferimento del dipendente presuppone comprovate ragioni tecniche organizzative e produttive dell’azienda: la giurisprudenza spiega quali possono essere.

La legge autorizza il datore di lavoro a disporre il trasferimento del lavoratore ad un’altra unità produttiva soltanto in caso di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive dell’azienda [1]. In mancanza di tali ragioni il trasferimento è illegittimo e il relativo atto del datore è nullo [2].
In ogni caso, anche quando sussistono delle ragioni tecnico organizzative alla base del trasferimento, esso non può comportare la lesione del diritto del lavoratore alla conservazione della propria professionalità, la cui tutela è prevalente rispetto alle esigenze del datore.
Il lavoratore deve infatti essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a mansioni equivalenti cioè inerenti al profilo professionale raggiunto e alle competenze maturate nell’azienda (divieto di demansionamento) [3].
La giurisprudenza sottolinea che anche in ipotesi di ristrutturazione aziendale è possibile mutare le mansioni di un proprio dipendente trasferendolo ad un’altra unità produttiva ma solo quando esse sono compatibili con la sua professionalità e il livello di inquadramento [4].
Le comprovate ragioni tecniche produttive e organizzative devono essere riferite sia all’unità produttiva di destinazione sia a quella di provenienza.
Inoltre il trasferimento non può prescindere dalla valutazione della posizione professionale del lavoratore; ciò significa che il datore di lavoro, quando si presentano determinate esigenze di riorganizzazione aziendale, deve valutare tutte le possibili alternative tenendo conto della professionalità dei dipendenti e della loro posizione soggettiva in relazione al loro ruolo nell’unità di provenienza e a quella che andrebbero a svolgere nell’unità di destinazione.
Solo a seguito di una valutazione ponderata il datore può optare per la soluzione ottimale cioè per quella meno lesiva della professionalità del dipendente.
Può accadere tuttavia che nonostante le valutazioni del datore, il trasferimento del dipendente rappresenti una scelta obbligata; si tratta di ragioni organizzative particolarmente forti che non pongono alternative (per esempio chiusura definitiva degli uffici).
Nel bilanciare le esigenze organizzative del datore e la tutela della dignità e professionalità del lavoratore, la giurisprudenza ha individuato una serie di casi in cui il trasferimento del dipendente è illegittimo:
– temporaneo incremento dell’attività di una diversa unità produttiva;
– esigenza di coprire un vuoto d’organico, se ci sono soluzioni alternative ragionevoli;
– generica esigenza di decentramento produttivo senza elementi effettivi;
– trasferimento dovuto alla mera vacanza di un posto di lavoro nella sede di destinazione.
In ogni caso il trasferimento del dipendente è illegittimo quando non è stato rispettato il termine di preavviso previsto dalla contrattazione collettiva.
Per contro è stato ritenuto legittimo il trasferimento del dipendente in caso di:
– vuoto d’organico nell’unità produttiva di destinazione dovuto al pensionamento di un dipendente;
– soppressione del posto occupato dal lavoratore nell’unità di provenienza;
– crisi aziendali;
– necessità di ricorrere a personale interno con specifica esperienza di lavoro;
– esubero di personale dovuto alla non irragionevole chiusura di una filiale.
Le motivazioni del trasferimento ad altra unità produttiva non devono necessariamente essere indicate nell’atto di trasferimento ma devono essere puntualmente fornite dal datore nel momento in cui il lavoratore ne faccia richiesta [5].
[1] Art. 2103 cod. civ.
[2] Cass. sent. n. 26920/2008.
[3] Cass. sent. n. 5161/2004.
[4] Cass. sent. n. 21356/2013.
[5] Cass. sent. n. 8268/2004.
(Fonte: La Legge per tutti)



Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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