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Società estinte: le nuove regole non hanno efficacia retroattiva


Fisco

IL FATTO 

La nuova norma sulle società estinte è valida solo dal 13 dicembre 2014 e non ha (né può avere) efficacia retroattiva. Si tratta di una norma nuova e di carattere sostanziale e non una “sanatoria” per gli atti già emessi dagli uffici nel passato. Ne consegue che rispondono di debiti tributari e contributivi per un quinquennio solo le società per le quali la richiesta di cancellazione è successiva al 13 dicembre 2014. Questi gli importanti chiarimenti forniti dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 6743 del 2 aprile 2015.

L’Agenzia delle Entrate notificava una cartella di pagamento, conseguente ad un avviso bonario, ad una snc cancellata da tempo dal Registro Imprese.

La contribuente aveva impugnato l’atto lamentando solo vizi legati alla fondatezza della pretesa.

Solo in appello, dopo il rigetto da parte della CTP, infatti, veniva eccepita l’inesistenza dell’ente conseguente alla cancellazione avvenuta tempo prima rispetto alla notifica.

Tuttavia, anche il giudice di seconde cure, confermava la prima decisione, rilevando che l’eccezione di inesistenza dell’atto perché notificato a soggetto estinto, era nuova e pertanto non poteva essere ammissibile.

Avverso la sentenza la snc proponeva così ricorso per cassazione.

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

La Corte di Cassazione ha preliminarmente rilevato d’ufficio l’inammissibilità del ricorso proposto dalla società di persone perché già estinta all’instaurazione del giudizio di primo grado. Sul punto sono state richiamate le molteplici decisioni assunte a SS.UU. (n. 4060/2010 e n. 6070/2013) secondo le quali, a decorrere dal 1° gennaio 2004, la cancellazione della società dal Registro delle Imprese ne provoca l’estinzione e pertanto la sua capacità di agire.

Nella specie, poiché la cartella di pagamento era stata notificata alla snc già cancellata dal predetto Registro ed il ricorso era stato proposto solo dall’ente e non anche dai suoi ex soci (successori nei rapporti ancora pendenti), l’impugnazione doveva essere dichiarata d’ufficio inammissibile fin dal primo grado.

La Corte di Cassazione ha poi fornito interessanti chiarimenti in ordine alla nuova norma introdotta con il D.Lgs. n. 175/2014, alla luce anche dell’interpretazione dello stesso da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Secondo l’Amministrazione finanziaria, infatti, le nuove previsioni contenute nell’art. 28, comma 4, del decreto legislativo “semplificazioni”, ha carattere procedurale e pertanto va applicato retroattivamente.

I giudici di legittimità, analizzando il contenuto letterale della disposizione, invece, hanno affermato il contrario.

Innanzitutto è stato evidenziato che il decreto legislativo è stato emesso in attuazione degli artt. 1 e 7 della legge di delegazione n. 23/2014 che ha imposto lo specifico obbligo di rispettare lo statuto dei diritti del contribuente e quindi anche il comma 1 dell’art. 3.

Questa norma, prevede che le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo.

I giudici, richiamano anche l’art. 11 delle preleggi (“la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”) che costituisce un criterio interpretativo “di fondo operante per i casi dubbi, allorchè la successiva disposizione tributaria di pari grado nulla espressamente preveda circa la sfera temporale”.

Peraltro, il legislatore delegato non avrebbe, in ogni caso, avuto il potere di derogare lo Statuto del contribuente perché la legge delega (n. 23/2014) gli ha imposto lo specifico obbligo di rispettarlo.

Ciò premesso, dunque, l’art. 28 del decreto sulle semplificazioni non può che avere efficacia successiva alla sua emanazione.

La norma quindi opera su un piano sostanziale e non “procedurale” (come invece affermato dall’Agenzia delle Entrate nelle proprie circolari) poiché non risolve una diversa regolamentazione dei termini processuali o dei tempi di accertamento o riscossione.

Non si tratta così di una norma “interpretativa” che dal suo tenore testuale “sceglie” tra diverse possibili interpretazioni adottate nel tempo in tema di estinzione di società, ma introduce una nuova previsione temporale per l’efficacia estintiva delle società ai soli fini tributari e contributivi.

Diversamente opinando, il collegio di legittimità afferma che la disposizione si trasformerebbe per gli uffici in una “sanatoria in relazione ad atti notificati a società già estinte per le quali la richiesta di cancellazione e l’estinzione siano intervenute anteriormente al 13 dicembre 2014”.

In conclusione, quindi, secondo la Corte di Cassazione il differimento quinquennale per i debiti tributari e contributivi degli effetti dell’estinzione della società si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal Registro Imprese è successiva al 13 dicembre 2014.

L’art. 2495 del codice civile, così come riformato nel 2004, dà valenza costitutiva all’estinzione delle società.

Dal momento, infatti, della cancellazione dal Registro imprese, l’ente perde la propria personalità giuridica e quindi diritti e doveri, a prescindere dall’eventuale esistenza di rapporti (debitori o creditori) non definiti.

Già nel 2010 le Sezioni Unite della Suprema Corte erano intervenute con tre sentenze (nr. 4060, 4061 e 4062 del 2010) precisando che la cancellazione comporta l’estinzione sia delle società di capitali sia di persone.

Nel 2013, sempre con una decisione assunta a Sezioni Unite, (n. 6070), è stato ulteriormente chiarito che i soci subentrano nei rapporti debitori e creditori della società, nella misura prevista nel precedente rapporto societario.

Ne consegue che per le società di capitali il limite di responsabilità è pari al totale di quanto incassato dai soci dal riparto dell’attivo di liquidazione (art. 2495 del codice civile), mentre per le società di persone, i soci ne rispondono illimitatamente con il proprio patrimonio. Il differente trattamento, rispecchia così, quanto naturalmente accade durante la “vita” della società, tanto più che ciò che può essere “trasferito” è un debito già contratto dall’ente stesso ma non soddisfatto.

È così stato affermato che, ricorrendone le condizioni, sono i soci “la giusta parte” cui notificare gli atti per eventuali pretese.

Il D.Lgs. n. 175/2014 ha modificato le norme sulle società estinte, prevedendo che ai soli fini fiscali e contributivi, le società debbano rispondere dei propri debiti fino a 5 anni dalla loro cancellazione dal registro imprese. Secondo l’Agenzia delle Entrate si tratta di norma procedurale, che trova applicazione anche per “attività di controllo fiscale riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal registro delle imprese o già cancellate dallo stesso registro prima della data di entrata in vigore del decreto”.


Corte di Cassazione – Sentenza N. 6743/2015

(Fonte: Lavoro&Fisco) 

Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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