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Sette giorni di lavoro senza riposo: lavoratore risarcito


Ordine Informa

Mancato godimento del riposo settimanale: in caso di lavoro per più di sei giorni consecutivi, il lavoratore può chiedere, all’azienda, il risarcimento del danno da usura psico-fisica. Ma, a tal fine, egli deve dimostrare di aver subito un danno e che tale danno sia dipeso unicamente dal mancato riposo. Non solo. Il risarcimento è escluso se vi è stato il consenso del lavoratore alla rinuncia la riposo o addirittura la sua richiesta di lavorare in tali giorni (festivo o altro). L’indennizzo invece spetta anche se il datore di lavoro – per compensare il sacrificio del dipendente – gli abbia successivamente concesso riposi maggiori: il termine di riferimento è infatti quello del giorno e della settimana. Lo ha chiarito la Cassazione con una sentenza pubblicata ieri [1].
Il dirigente medico di un’Azienda sanitaria era stato sottoposto a turni massacranti Saltati, molto spesso, i riposi compensativi previsti dal contratto collettivo. La sua richiesta di risarcimento arriva sino in Cassazione; ma, secondo la Corte, il lavoratore deve provare concretamente il pregiudizio subito, anche sul fronte esistenziale.

I contratti di lavoro devono prevedere, per Costituzione, il cosiddetto riposo compensativo (o, volgarmente detto, riposo settimanale), volto cioè – come dice la parola stessa – a compensare gli sforzi e le fatiche e a ripristinare l’energia psico-fisica onde sostenere una nuova settimana di lavoro. Non necessariamente la domenica, ma comunque almeno un giorno alla settimana.

Chi subisce la violazione di tale diritto per essere stato costretto alavorare sette giorni su sette può chiedere il risarcimento del danno da “usura psico-fisica” e del danno morale ed esistenziale (cioè quello provocato dalla “compromissione delle attività non reddituali» che consentono alla «persona umana” di sentirsi realizzata pienamente, come, ad esempio, “relazioni sociali e familiari” e “attività ludiche”). Ciò come conseguenza di ogni “domenica lavorata” e di tutte le volte in cui è stato costretto a effettuare il “settimo giorno consecutivo” in azienda.

Per ottenere il risarcimento è fondamentale, però, che il lavoratore dimostri concretamente il danno subito dai numerosi turni di servizio in giorni festivi senza riposi compensativi e dai molteplici turni di pronta disponibilità in giorni feriali.

LA SENTENZA

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 maggio – 22 agosto 2016, n. 17238

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 631/2012, depositata il 14 luglio 2012, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Agrigento, che aveva respinto la domanda di D.F. diretta al risarcimento del danno esistenziale e da usura psicofisica conseguente al mancato godimento dei riposi compensativi previsti dal CCNL per la dirigenza medica nel periodo 1/7/1998 – 31/12/2004, condannava l’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) di Agrigento al pagamento della somma di curo 26.075,51 comprensiva di interessi e rivalutazione monetaria sino al dicembre 2011, previo espletamento di CTU volta a determinare, con riferimento al periodo luglio 1998

dicembre 2001, l’importo spettante all’appellante mediante il calcolo, per ogni domenica lavorata o comunque per il settimo giorno consecutivamente lavorato, di un compenso, aggiuntivo a quello eventualmente fruito, pari ai 100% della retribuzione giornaliera ordinaria aumentata dei compenso per il lavoro festivo. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza l’ASP con due motivi, il F. ha resistito con controricorso, con il quale ha proposto ricorso incidentale,affidato a sei motivi, a cui ha resistito a sua volta I’ASP con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente principale, denunciando, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., si duole che la Corte di appello abbia riconosciuto al dott. F. una maggiorazione retributiva per il lavoro prestato nelle giornate festive, nonostante che il ricorrente avesse domandato il risarcimento dei danno da usura psicofisica e di quello morale ed esistenziale e tali richieste, di natura esclusivamente risarcitoria, avesse confermato e ribadito in sede di gravame.

Con li secondo motivo, denunciando la violazione degli artt. 1218, 1223 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., e per il caso in cui la Corte avesse inteso, con tale pronuncia, accogliere la domanda risarcitoria proposta dai dott. F., si duole la ricorrente principale della mancata adesione, da parte del giudice di secondo grado, all’orientamento, secondo il quale non è sufficiente che il lavoratore dimostri di avere prestato la propria attività per oltre sette giorni al fine di ottenere il riconoscimento dei diritto al risarcimento, ma è pur sempre necessaria la prova ulteriore del danno subito.

E’fondato, e deve essere accolto, il primo motivo dei ricorso principale.

II ricorrente ha domandato in giudizio il risarcimento del danno da usura psicofisica e del danno morale ed esistenziale e ciò in relazione al fatto di avere prestato, fin dall’inizio del rapporto di lavoro, turni di servizio in giorni festivi (135 nel periodo luglio 1998-dicembre 2004), senza godere dei necessari riposi compensativi, ed inoltre al fatto di avere svolto,nell’arco di ogni anno, una media 240 turni di pronta disponibilità in giorni feriali, ben maggiore di quella contrattualmente dovuta. A fronte di tali domande la Corte territoriale ha liquidato all’appellante la somma di euro 26.075,51 calcolando per il giorno della domenica lavorata o, comunque, per il 70 giorno consecutivamente lavorato, un compenso, aggiuntivo a quello eventualmente fruito, pari al 100% della retribuzione giornaliera ordinaria aumentata del compenso per il lavoro festivo (cfr. sentenza, pp. 4-5).

E’ da ritenere che con tale pronuncia la Corte sia incorsa nel vizio denunciato, posto che il ricorrente, tanto con l’atto introduttivo, come in sede di gravame, non aveva fatto valere un credito retributivo ma esclusivamente proposto domande risarcitorie, con le quali aveva chiesto il ristoro del danno derivante dalla maggiore gravosità del lavoro nonché del pregiudizio prodotto dainsostenibili ritmi di lavoro nella sfera delle attività di realizzazione della persona.

Né, d’altra parte, la sentenza impugnata contiene riferimenti di alcun genere, espressi o impliciti, ali’art. 1226 c.c. e alla valutazione equitativa dei danno, così da segnalare, per tale via, il contenimento della decisione entro i limiti delle domande proposte. Nell’accoglimento dei primo motivo dei ricorso principale resta assorbito il secondo. Con il ricorso incidentale il lavoratore – mediante la proposizione di plurimi motivi che attengono all’interpretazione delle norme regolatrici della fattispecie (1°), a carenze sotto diversi profili del percorso motivazionale seguito dal giudice di appello (2°, 3°, 4° e 50) e alla violazione dei principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (6°) – censura la sentenza impugnata (a) per non avere esaminato il motivo concernente il rigetto, da parte del primo giudice, della richiesta di condanna al risarcimento del danno connesso alla limitazione e allo stravolgimento della vita familiare e di relazione; (b) per avere omesso l’esame della domanda con riferimento alla richiesta di risarcimento del danno da usura psicofisica per la maggiore gravosità del lavoro, conseguente alla mancata fruizione dei riposi settimanali, in relazione al periodo dall’1/7/1998 al 28/2/2000.

II ricorso può essere accolto, per le ragioni di seguito precisate.

In primo luogo, si deve rilevare come la sentenza impugnata non contenga alcuna statuizione e neppure alcun cenno alla domanda relativa al danno mora lelesistenziale, inteso – secondo la prospettazione dei ricorrente – quale compromissione delle attività non reddituali, attraverso le quali si realizza la persona umana, e cioè derivante dalla impossibilità di coltivare interessi culturali, attività ludiche e relazioni sociali.

Non risulta, inoltre, che la sentenza, al di là di un formale richiamo ai confini temporali dell’incarico conferito in sede di gravame, abbia, nella sostanza, vagliato il contenuto della relazione peritale e, quindi, esaminato il periodo dall’1/7/1998 al 28/2/2000, peraltro compreso nei limiti delle domande proposte.

Ne consegue che la sentenza n. 63112012, depositata il 14 luglio 2012, della Corte di appello di Palermo deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese, alla medesima Corte in diversa composizione, la quale 1) procederà all’esame di entrambe le domande risarcitorie svolte dal ricorrente e cioè sia di quella di risarcimento del danno da usura psicofisica, sia di quella di risarcimento del danno morale ed esistenziale, compiendo, se del caso, nuovi accertamenti di fatto e comunque considerando anche ilperiodo dall’1/7/1998 al 28/2/2000; 2) si atterrà, inoltre, in tale esame al seguente principio di diritto, recentemente ribadito da Cass. 23 maggio 2014 n. 11581: “In caso di lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, ove il lavoratore richieda, in relazione alla modalità della prestazione, il risarcimento dei danno non patrimoniale, per usura psicofisica, ovvero per la lesione dei diritto alla salute o dei diritto alla libera esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana, è tenuto ad allegare e provare il pregiudizio dei suo diritto fondamentale, nei suoi caratteri naturalistici e nella sua dipendenza causale dalla violazione dei diritti patrimoniali di cui all’art. 36 della Costituzione, potendo assumere adeguata rilevanza, nell’ambito specifico di detta prova (che può essere data in qualsiasi modo, quindi anche attraverso presunzioni ed a mezzo dei fatto notorio), il consenso del lavoratore a rendere la prestazione nel giorno di riposo ed, anzi, la sua richiesta di prestare attività lavorativa proprio in tale giorno, mentre non rileva la fruizione successiva di riposi maggiori, essendo il termine di riferimento quello dei giorno e della settimana”.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo dei ricorso principale, assorbito il secondo; accoglie inoltre il ricorso incidentale nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello dì Palermo in diversa composizione.

[1] Cass. sent. n. 17238/16 del 23.08.2016.

(Fonte: La Legge per tutti)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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