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Se il datore non assume il dipendente deve risarcirgli il danno


Ordine Informa

Il giudice può liquidare il danno subito dal lavoratore in via equitativa, spettando al datore di lavoro la prova contraria.
Tutte le volte in cui il datore di lavoro è obbligato ad assumere un lavoratore (per esempio: a termine del periodo di prova con esito positivo o al diritto alla priorità in caso di contratto di formazione e lavoro) e ciononostante non vi adempia, deve risarcirgli l’intero danno subìto durante tutto il periodo in cui si è protratto l’inadempimento medesimo. Detto danno può essere in concreto determinato – senza necessità di una specifica prova da parte del lavoratore – sulla base delle utilità che quest’ultimo avrebbe conseguito se fosse stato tempestivamente assunto. Spetta al datore di lavoro provare che il lavoratore, in tale periodo, ha conseguito altri redditi per una diversa occupazione (nel qual caso il risarcimento verrebbe ridotto) oppure la negligenza del lavoratore stesso nel cercare altra proficua occupazione. Lo ha chiarito la Cassazione con una recente sentenza [1].
Non sempre dunque, la prova del danno è a carico del lavoratore: il giudice gli può riconoscere un risarcimento in via equitativa, ossia secondo il suo prudente apprezzamento, quando detto danno non può essere dimostrato nel suo preciso ammontare. Spetta all’azienda inadempiente la prova contraria.
La quantificazione del danno viene effettuata in via equitativa quando esso non può essere provato nel suo preciso ammontare. L’esercizio di tale potere del giudice – conclude la Corte – è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare; ciò però non toglie che il danneggiato debba dimostrare l’esistenza del diritto.
LA SENTENZA
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 febbraio – 12 maggio 2016, n. 9758
Presidente Napoletano – Relatore Boghetich
Svolgimento del processo
Il sig. A.B. , premesso di aver ottenuto, da parte del Consiglio di Stato, l’annullamento dell’atto di avviamento dell’Ufficio di collocamento di Sessa Aurunca che, nel luglio 1987, lo aveva pretermesso per una assunzione presso l’Enel con contratto di formazione e lavoro, ha adito il Tribunale di Napoli per ottenere il risarcimento del danno per il periodo 1987 – 2002 (data di avviamento al lavoro presso l’Enel). Il Tribunale ha respinto la domanda e la Corte di appello, con sentenza depositata il 18.10.2010, riformando la sentenza impugnata, ha condannato il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali al pagamento dei danni liquidati equitativamente in Euro 74.000,00.
Per la cassazione della sentenza il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale propone ricorso affidato a cinque motivi. Il lavoratore resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale.
Motivi della decisione
1. – Con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2043, 2056 e 2697 cc., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., il Ministero ha censurato la sentenza impugnata per avere, la Corte di appello, accolto erroneamente la domanda di risarcimento del danno a fronte della mancata allegazione, da parte del lavoratore, di uno stato di disoccupazione protratto per il periodo dedotto in atti (1987-2002), elemento necessario per consentire la liquidazione del danno patrimoniale e, prima ancora, per far sorgere l’onere di specifica contestazione della controparte, anche a fronte della circostanza (emersa da una verifica previdenziale) dello svolgimento di lavoro subordinato da parte dell’A. per altre aziende sin dal 1990. 2. – Con un secondo ed un terzo motivo di censura, il Ministero, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 c.p.c., deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., nonché omessa motivazione di un fatto decisivo e controverso, per avere, la Corte di appello, erroneamente interpretato la disciplina relativa al contratto di formazione e lavoro (la legge n. 863 del 1984), non essendo previsto alcun obbligo a carico del datore di lavoro, alla scadenza del termine del contratto, di stipulare un contratto a tempo indeterminato e mancando ogni motivazione circa la “rilevante” probabilità dell’A. di trasformare il contratto di formazione e lavoro in rapporto a tempo indeterminato e, di conseguenza, non potendosi valutare alcuna perdita di chance in relazione alla suddettaopportunità. 3. – Con il quarto motivo il Ministero lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 2056 e 1226 c.c., avendo, la Corte territoriale, liquidato il danno non patrimoniale in considerazione del “patema d’animo conseguente al mancato avviamento” a fronte della diversa domanda del lavoratore tesa ad ottenere la liquidazione di un generico danno morale derivante dal non aver potuto sviluppare la propria professionalità nonché avendo considerato circostanze (quali “la notoria difficoltà a reperire una occupazione di pari livello” e “il protrarsi dello stato di disoccupazione“) non allegate né provate dal lavoratore. 4. – Con il quinto motivo il Ministero deduce, in riferimento all’art,. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., insufficiente motivazione In ordine alla valutazione equitativa del danno, avendo la Corte territoriale trascurato di indicare I criteri seguiti e gli elementi di fatto considerati per determinare l’entità del danno. 5. Il lavoratore ha proposto ricorso incidentale fondato su due motivi: il primo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., per omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso, avendo la Corte territoriale trascurato di valutare, ai fini dellaliquidazione patrimoniale, le mensilità aggiuntive, il trattamento di fine rapporto e gli oneri previdenziali correlati al contratto di formazione e lavoro e, con riguardo al danno morale, avendo sottostimato i disagi sopportati dall’A. , di cui era stata chiesta prova, senza aver indicato i criteri adottati per la liquidazione effettuata in via equitativa. Con il secondo motivo, dedotto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., l’A. ha dedotto violazione degli artt. 2043, 2056 e 1123 c.c. avendo la Corte territoriale limitato il danno patrimoniale al periodo biennale di durata del contratto di formazione e lavoro trascurando la circostanza, provata per tabulas, che i lavoratori illegittimamente avviati nel 1987 erano, poi, stati assunti a tempo indeterminato, con conseguente presunzione favorevole anche per lo stesso A. . 6. – Va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi principale e incidentale ai sensi dell’art. 335 c.p.c.. 7. – Il primo motivo del ricorso principale, oltre a presentare profili di inammissibilità per carenza dei requisiti di specificità previsti dal combinato disposto degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., non è fondato. L’Avvocatura erariale sostiene la violazione e falsa applicazione degli artt. e 2043, 2056 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma1, n. 3, per avere la sentenza impugnata condannato il Ministero al pagamento di somme pari alle retribuzioni che sarebbero spettate all’A. nel periodo corrispondente alla durata biennale del contratto di formazione e lavoro, benché non avesse dedotto lo stato di disoccupazione. Il motivo è privo di fondamento sulla scorta dell’insegnamento di questa Corte per il quale il datore di lavoro, inadempiente all’obbligo di assunzione del lavoratore avviato ai sensi della L. n. 482 del 1968 (ma il principio è analogamente applicabile alla controversia che ci occupa), è tenuto, per responsabilità contrattuale, a risarcire l’intero pregiudizio patrimoniale che il lavoratore ha consequenzialmente subito durante tutto il periodo in cui si è protratta l’inadempienza del datore di lavoro medesimo; pregiudizio che può essere in concreto determinato, senza bisogno di una specifica prova del lavoratore, sulla base del complesso elle utilità (salari e stipendi) che il lavoratore avrebbe potuto conseguire, ove – tempestivamente assunto, mentre spetta al datore di lavoro provare l’aliunde perceptum, oppure la negligenza del lavoratore nel cercare altra proficua occupazione (cfr., tra le altre, Cass. n. 488 del 2009; Cass. n. 2402 del 2004; Cass. n. 1085 del 1994; Cass. n. 10851 del 1990; Cass. n. 5793 del 1990; Cass. n. 2465 del 1988; Cass n 5262 del 1987). La Corte territoriale, dopo aver rilevato la formazione del giudicato interno con riguardo alla sussistenza di un “vero e proprio diritto soggettivo all’avviamento in esecuzione della richiesta effettuata dall’Enel“, ha evidenziato che i lavoratori illegittimamente avviati nel 1987 al posto dell’A. hanno stipulato un contratto di formazione e lavoro e, alla scadenza, sono stati tutti assunti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Il giudice di merito, pertanto, traendo l’inferenza presuntiva dagli elementi raccolti, ha fatto applicazione dei principi innanzi richiamati, ritenendo che “l’aspettativa dell’A. , che era utilmente collocato nella graduatoria in vigore al momento della richiesta dell’imprenditore, di essere avviato al lavoro presso l’Enel con un contratto di formazione e lavoro fosse concreta“. Inammissibile è, poi, la censura relativa all’omessa considerazione dei redditi che il Ministero assume percepiti dall’A. quale dipendente di varie aziende dal 1990 in poi, non essendo stato indicato se l’allegazione e la relativa prova documentale (che viene depositata In questa sede) fossero state fornite al giudice di merito. 8. – Il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, cosi come il secondo motivo del ricorso incidentale possono essere trattati congiuntamente, attenendo tutti al dannoconseguente alla perdita di chance rappresentata dalla mancata assunzione a tempo indeterminato che sarebbe conseguita all’esito della scadenza del contratto di formazione e lavoro. È principio consolidato quello secondo cui, nella sfera di tutelabilità delle posizioni soggettive, possono ben essere comprese situazioni caratterizzate dalla potenzialità del pregiudizio, quale la perdita di “chances”, poiché ai fini della sussistenza e della determinazione del danno risarcibile, il concetto di perdita di guadagno di cui all’art. 1223 c.c. si riferisce a qualsiasi utilità economicamente valutabile, costituendo un’entità patrimoniale anche una situazione cui è collegato un reddito probabile, (tra le molte sentenze v.; Cass. n. 9472/2003, n. 781/1992). La perdita di una “chance” produce un danno attuale e risarcibile, sempre che ne sia provata l’esistenza, anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni (Cass. 781/1992; 3183/1990). Nel caso in esame, quindi, In cui veniva dedotto che l’avviamento di altri lavoratori in base alla graduatoria formata, nel luglio 1987, dall’Ufficio di collocamento di Sessa Aurunca (graduatoria successivamente annullata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 164/2002), aveva determinato l’assunzione degli stessi dapprima con contratto di formazione e lavoro e, poi, a tempoindeterminato, la prova del danno e quindi la possibilità di conseguire un risultato utile, ben poteva essere accertata e valutata secondo i criteri di verosimiglianza, alla stregua dell’id quod plerumque accidit. Nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., non occorre, infatti, che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame dl assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile. A tal riguardo è sufficiente che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertata alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di avvenimenti, la cui sequenza e dipendenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (Cass. Sezioni Unite n. 9961/96). A tali criteri si è sostanzialmente attenuto il giudice di merito, che dalla vicenda subita dai lavoratori illegittimamente avviati nel 1987 ha tratto la prova del danno (per perdita di chance) subito dall’A. , consistente nella perdita della possibile assunzione a tempo indeterminato presso l’Enel una volta scaduto il contratto di formazione e lavoro, considerato che tutti i lavoratori avviati sono stati assunti dalla società. Il giudice di merito ha, quindi, proceduto a liquidare un danno per tale pregiudizio che,unitamente al danno non patrimoniale, ha quantificato in Euro 50.000,00. Avendo, pertanto, la Corte territoriale non solo accertato, secondo la prova per presunzioni, che l’A. ha subito un danno per perdita di chance ma anche proceduto a risarcire tale pregiudizio, non meritano accoglimento il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale nonché il secondo motivo del ricorso incidentale. 9. – Il quarto motivo del ricorso principale non è fondato. La Corte territoriale ha individuato la sussistenza di un danno non patrimoniale “consistente nel turbamento dell’animo causato dalla lesione dell’interesse all’esplicazione della propria professionalità” (pag. 6 della sentenza impugnata) ossia esattamente corrispondente alla domanda avanzata dall’A. (come da conclusioni riportate a pag. 3 della medesima sentenza); va evidenziato che la Corte ha indicato la professionalità posseduta dal lavoratore, essendo “operaio specializzato” (pag. 7 della sentenza); solamente in sede di individuazione dei criteri per la liquidazione equitativa, dopo aver richiamato il concetto omnicomprensivo di danno non patrimoniale come delineato dalle Sezioni Unite (cfr. sentenze nn. 26972, 26974, 26975 del 2008), la Corte territoriale ha indicato i parametri del patema d’animo conseguente al mancato avviamento, della notoria difficoltà direperire una nuova occupazione di pari livello, del protrarsi dello stato di disoccupazione, delle aspettative retributive. La censura relativa al vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato non è, pertanto, fondata, confondendo la censura – il momento dell’accertamento del pregiudizio con il momento, logicamente successivo, della sua quantificazione. 10. – Il quinto motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale, che possono essere trattati congiuntamente per l’attinenza di entrambi alla valutazione equitativa del danno, non sono fondati. Deve premettersi che la domanda di liquidazione dei danni in via equitativa, proposta ai sensi Xdell’art. 1226 c.c., attiene alla quantificazione dei danni che non possano essere provati nel loro preciso ammontare, e costituisce decisione secondo diritto, in quanto sollecita l’applicazione di una norma di legge (per l’appunto l’art. 1226 c.c.), che una tale quantificazione prevede (Cass. Sez. 3, n. 21103/2013, Cass. Civ. Sez. 2, n. 16202/2002). L’esercizio di tale potere da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata provare il danno nel suo preciso ammontare, come desumibile dalle citate norme sostanziali; dall’altro non ricomprende anche l’accertamento del pregiudiziodella cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare sia la sussistenza, sia l’entità materiale del danno; ne esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l’apprezzamento equitativo sia per quanto possibile ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nella determinazione dell’equivalente pecuniario del danno stesso (così Cass. Civ. Sez. 2, n. 13288/2007; Cass. Civ. Sez. 3, n. 10607/2010, fra le tante). Nel compiere tale valutazione, la Corte – in presenza degli elementi dai quali era emerso un danno per mancata assunzione sia con contratto di formazione e lavoro sia, alla scadenza, a tempo indeterminato dell’A. quale operaio specializzato ma in assenza di specifiche circostanze circa le competenze professionali possedute, le precedenti esperienze lavorative e i disagi patiti – ha ritenuto di ricorrere alla liquidazione equitativa del danno, adottando quali parametri di determinazione della somma da porre a carico del Ministero “la retribuzione (circa Euro 1.000,00) e la durata (24 mesi) presumibili del contratto di formazione e lavoro” al fine di liquidare il danno patrimoniale correlato al mancato avviamento con contratto di formazione e lavoro, pari a Euro 24.000,00; inoltre, accomunando danno per perdita di chance e danno non patrimoniale, la Corte ha considerato quali parametri di riferimento quantitativi e qualitativi il patema d’animo conseguente al mancato avviamento, la notoria difficoltà di reperire una nuova occupazione di pari livello, il protrarsi dello stato di disoccupazione, le aspettative retributive al fine di giungere alla liquidazione della somma omnicomprensiva di Euro 50.000,00. Al fine della liquidazione del danno patrimoniale da perdita di chances va rammentato il principio secondo il quale la concreta ed effettiva occasione perduta di conseguire un determinato bene, nel che consiste la perdita di chances, non è una mera aspettativa di fatto, ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, che deve tenere conto della proiezione sulla sfera patrimoniale futura del soggetto (Cass. Sez. 3, n. 18945/2003, Cass. Sez. 2, n. 1443/2003). Anche questi motivi (del ricorso principale e del ricorso incidentale) non sono, pertanto, fondati, in quanto la Corte ha indicato gli elementi considerati ai fini della liquidazione del danno, patrimoniale e non patrimoniale, subito dall’A. ; va evidenziato, altresì, che il motivo del ricorso incidentale presenta profili di inammissibilità, avendo il controricorrente – ricorrente in via incidentale indicato generici“disagi sopportati dall’A. che, si ripete, ha inutilmente chiesto di provarli”, senza specificare quali tipi di disagi abbia subito l’A. , se siano stati allegati e quale prova era stata proposta al giudice di merito. Va evidenziato che questa Corte ha, ancora di recente, ribadito (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4047/2013) che nel caso in cui sia certo il diritto alla prestazione spettante al lavoratore, ma non sia possibile determinare la somma dovuta, sicché il giudice la liquida equitativamente ai sensi dell’art. 432 c.p.c., l’esercizio di tale potere discrezionale non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, purché la motivazione della decisione dia adeguatamente conto del processo logico attraverso il quale si è pervenuti alla liquidazione, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo. Ciò nel caso è avvenuto sia con riferimento al danno patrimoniale (per mancata assunzione con contratto di formazione e lavoro e per perdita di chances) sia con riguardo al danno non patrimoniale (per mancata utilizzazione della professionalità posseduta dal lavoratore) e la liquidazione è stata ancorata ai parametri innanzi richiamati, cosicché l’importo liquidato trova un legame con situazioni oggettive che ragionevolmente possono giustificarlo. 11. – Le spese di lite sono compensate tra le parti inconsiderazione della reciproca soccombenza. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
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[1] Cass. sent. n. 9758/2016 del 12.05.2016.
(Fonte: La Legge per tutti)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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