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Reversibilità figli, chi supera 652 euro mensili di reddito la perde


Ordine Informa

Niente pensione di reversibilità per i figli il cui reddito mensile supera i 652,46 euro, anche se non è superata la soglia annuale di reddito per il diritto al trattamento ai superstiti, pari a 8.481,94 euro: le entrate, difatti, devono essere riproporzionate in base al periodo lavorato; è quanto chiarito dall’Inps, con un recentissimo messaggio [1]. Amara sorpresa, dunque, per chi pensava di aver diritto alla pensione ai superstiti, non avendo superato la soglia massima di reddito: in pratica, è sufficiente che in un mese siano guadagnati più di 652 euro perché non spetti più il trattamento, se non viene più percepito alcun reddito nell’anno. 
Ricordiamo che hanno diritto alla pensione ai superstiti (che può essere di reversibilità, se il genitore deceduto era pensionato, o indiretta, se lavoratore) i figli, viventi a carico del deceduto, che:

– hanno meno di 18 anni;

– risultano iscritti presso una scuola media o professionale e possiedono non più di 21 anni;

– risultano iscritti all’Università e possiedono non più di 26 anni; la pensione spetta solo per la durata del corso legale di laurea.

Se il figlio studente che ha diritto alla reversibilità svolge attività lavorativa, questa non pregiudica la spettanza della pensione se il reddito è inferiore al trattamento minimo annuo di pensione maggiorato del 30%: il compenso, però, deve essere riparametrato al periodo di svolgimento dell’attività lavorativa.

Ad esempio, se Tizio lavora nel solo mese di agosto e percepisce 700 euro, perde il diritto alla reversibilità, in quanto la soglia di reddito, pari a 8.481,94 euro, riproporzionata al periodo lavorato (8.481,94 euro/13*1 mese), è pari a 652,46 euro.

Al contrario, Caio, che lavora a giugno, luglio ed agosto, percependo, rispettivamente, 400, 700 e 800 euro (1900 euro complessivi), conserva invece il diritto alla pensione, in quanto la soglia di reddito riparametrata per 3 mesi di lavoro è di 1957,37 euro. Occorre dunque molta attenzione nel tener conto delle entrate, in quanto se il reddito supera la soglia massima il diritto alla reversibilità si perde: l’Inps procede dunque alla revoca della pensione e al recupero del trattamento corrisposto non dovuto.

Il figlio studente che lavora, in sede di presentazione della domanda di reversibilità, è tenuto a dichiarare, anche se presunto, il reddito lordo da lavoro percepito nell’anno di morte del genitore, nonché il relativo periodo di percezione.

L’interessato, in seguito, ha l’obbligo di comunicare ogni variazione del reddito da lavoro e del relativo periodo di percezione.

Se il limite di reddito è superato, come già esposto, l’Inps procede alla revoca del trattamento e al recupero degli indebiti; se, al contrario, il reddito è minore rispetto a quello comunicato, l’Inps riconosce il diritto a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data dell’evento; sono riconosciuti anche gli arretrati.

Se il reddito del figlio studente avente diritto alla pensione ai superstiti deriva da una borsa di studio per dottorato di ricerca, si applicano gli stessi limiti di reddito previsti per lo svolgimento di attività lavorativa. I limiti non si applicano, invece, se l’interessato svolge servizio civile o lavori socialmente utili. In questi ultimi due casi, dunque, resta il diritto al trattamento.

La revoca della reversibilità per chi supera la soglia di reddito riparametrata su base mensile pone dei problemi di ordine costituzionale, specie se parliamo di chi perde il trattamento per aver lavorato per un mese soltanto. Difatti, una nota sentenza della Corte Costituzionale [2], ha affermato che anche la sola decurtazione di una quota della pensione potrebbe ledere il diritto agli studi del figlio superstite, in contrasto con numerosi principi Costituzionali [3]. 

Di conseguenza, il possesso di un piccolo reddito da attività lavorativa, pur migliorando la condizione economica dell’orfano, non comporta la perdita della qualifica di studente: a parere della scrivente, parametrare la soglia di reddito sulla base del periodo lavorato è dunque iniquo, perché in questo modo viene penalizzato chi presta lavoro per poco tempo, dunque, paradossalmente, proprio chi guadagna di meno. 

[1] Inps Mess. n. 2758/2016.

[2] C. Cost. Sent. 42/1999.

[3] Cost. Artt. 3,4,34,35.

(Fonte: La Legge per tutti)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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