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Permessi legge 104 per familiari con handicap: novità e sentenze 2015


Ordine Informa

Chi assiste un familiare con disabilità grave può usufruire dei tre giorni al mese di permesso retribuito ai sensi della legge 104 del 1992 e oltre al beneficio relativo ai limiti di trasferimento del posto di lavoro.
La famosa legge 104 del 1992, relativa alla tutela dei lavoratori che assistono familiari con handicap o prossimi congiunti in condizioni di significativa gravità, è stata da poco rivista [1].
Può usufruire dei benefici della legge 104 il dipendente che assiste persona con handicap in situazione di gravità (purché tale persona non sia ricoverata a tempo pieno), sia essa il coniuge, parente o affine entro il secondo grado, oppure entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto i sessantacinque anni oppure siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
Sede di lavoro
Il lavoratore che usufruisce della legge 104 ha diritto a scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere; tale diritto, comunque, può essere esercitato a condizione che la scelta sia compatibile con le esigenze dell’organizzazione aziendale [2].
Gli stessi lavoratori, in ogni caso, hanno la facoltà di rifiutare il trasferimento presso una sede aziendale più lontana dal domicilio sopra indicato, rispetto a quella di appartenenza.
Il lavoratore con handicap in situazione di gravità che usufruisca per sé dei permessi previsti dalla legge 104, ha diritto di scegliere, ove possibile (quindi anche in questo caso tenendo conto delle esigenze dell’organizzazione aziendale) la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso.
Viaggio e trasporto
Il lavoratore che usufruisce dei permessi della legge 104 per assistere la persona in situazione di handicap grave, residente in Comune situato a distanza stradale superiore a 150 km rispetto a quello di residenza del lavoratore, deve dimostrare, all’azienda, attraverso il titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito [3]. Egli, in pratica, deve esibire al datore di lavoro il biglietto o altra documentazione simile che dimostri di essersi effettivamente recato nei giorni indicati presso la residenza del familiare da assistere.
Proprio per questo motivo, è preferibile utilizzare mezzi pubblici di trasporto (aerei, treni, autobus, ecc.), in quanto consentono facilmente di produrre il titolo di viaggio, ma se (per impossibilità o non convenienza) viene utilizzato un mezzo privato, l’interessato deve munirsi di idonea documentazione comprovante la sua effettiva presenza presso la residenza dell’assistito [4].
I benefici vanno comunque riconosciuti anche ai lavoratori che, pur risiedendo o lavorando in luoghi distanti da quello in cui risiede di fatto la persona disabile grave (personale di volo delle linee aeree, personale viaggiante delle ferrovie o dei marittimi), offrano alla stessa un’assistenza sistematica ed adeguata [5].
Permessi e congedi
Il lavoratore con i benefici della 104, che assistepersona con handicap in situazione di gravità (coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto i sessantacinque anni oppure siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti) ha la possibilità di ottenere un permesso mensile retribuito di tre giorni, a condizione che dimostri, con idonea documentazione, la gravità dell’handicap e che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno presso strutture ospedaliere o simili.
I permessi della 104, però, sono concessi anche in caso di ricovero presso strutture ospedaliere a condizione che
– risulti documentato dai sanitari il bisogno di assistenza del minore disabile da parte di un genitore o di un familiare;
– il disabile sia in stato vegetativo persistente e/o con prognosi infausta a breve termine.
I permessi sono, inoltre, concessi quando il disabile debba recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite specialistiche e terapie certificate.
La programmazione dei permessi
Il datore di lavoro può richiedere al lavoratore di programmare in anticipo i 3 giorni di permesso mensile a condizione che [6]:
– il lavoratore che assiste il disabile sia in grado di individuare preventivamente le giornate di assenza;
– non venga compromesso il diritto del disabile ad avere una effettiva assistenza;
– tale programmazione segua criteri condivisi con i lavoratori e le loro rappresentanze.
In ogni caso, il dipendente può modificare autonomamente la giornata in precedenza programmata per la fruizione del permesso, spostandola ad altra data. Resta fermo comunque il principio secondo cui le esigenze di assistenza e di tutela del disabile devono prevalere sempre sulle esigenze organizzative imprenditoriali [7].
Se per lo stesso disabile vi sono più lavoratori (e viceversa)
Il diritto ai permessi non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza dello stesso disabile. Pertanto, in tal caso, il familiare disabile deve presentare autodichiarazione dalla quale deve risultare la scelta del lavoratore suo familiare da cui vuole essere assistito [8].
Il dipendente ha inoltre diritto di prestare assistenza a più persone in situazione di handicap grave, a condizione però che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti [9].
Lavoratore con handicap
Al lavoratore portatore di handicap è altresì attribuito il diritto a permessi giornalieri retribuiti di due ore o a quelli, ugualmente retribuiti, per tutta la giornata fino a un massimo di tre giorni, fruibili in maniera continuativa e frazionabili in mezza giornata di servizio.
Congedi parentali e straordinari
La tutela dei portatori di handicap è inoltre garantita anche dal Testo Unico per la tutela e sostegno alla maternità e paternità [10], che consente di prolungare sino a tre anni il periodo di congedo parentale qualora il bambino sia portatore di handicap, a condizione che non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.
Dopo il compimento del terzo anno di età del bambino con handicap in situazione di gravità, i genitori, anche adottivi, possono fruire dei permessi previsti dalla legge n. 104 alternativamente e anche in maniera continuativa nell’ambito del mese.
Infine, il Testo Unico della maternità ribadisce che i lavoratori dipendenti possono usufruire, a domanda, di congedi straordinari, per un periodo massimo di due anni nell’arco della vita lavorativa, per assistere persone con handicap o patologie per le quali è stata accertatala gravità [11]. Tale diritto è riconosciuto dalla legge avendo riguardo al grado di parentela del soggetto che assiste il portatore di handicap. In pratica il diritto spetta prioritariamente al coniuge. In caso decesso o di patologie invalidanti del coniuge a padre o alla madre anche adottivi, in caso di decesso o di patologie invalidanti di questi ultimi a uno dei figli conviventi, in caso di decesso o di patologie invalidanti di questi a uno dei fratelli o sorelle conviventi. Si segnala, per completezza, che il lavoratore potrà reperire i moduli per la fruizione dei permessi da presentare all’Inps presso il relativo sito (www.inps.it), nella parte relativa alla modulistica.
ULTIME SENTENZE
La mancata presentazione, da parte del lavoratore, della richiesta all’INPS di autorizzazione a godere dei permessi retribuiti della legge 104 rende l’attribuzione dei permessi priva di causa; pertanto il datore di lavoro è legittimato a chiedere la restituzione di quanto indebitamente pagato [12].
La presenza in famiglia di altra persona che sia tenuta o che possa provvedere all’assistenza del parente non esclude il diritto ai tre giorni di permessi mensili retribuiti; diversamente si frustrerebbe lo scopo perseguito dalla legge. Infatti presumibile che, mentre il lavoratore sia impegnato con il lavoro, all’assistenza del parente provveda altra persona, mentre è senz’altro ragionevole che quest’ultima possa fruire di alcuni giorni di libertà, e proprio in quei giorni il lavoratore chieda i tre giorni di permessi. Pertanto è legittimo il diritto ai tre giorni di permesso mensile in base alla legge 104 pur in presenza di una colf [13].
Non è necessario [14] per la concessione dei benefici dei permessi da parte del datore di lavoro che il lavoratore presti assistenza continuativa ed esclusiva al congiunto portatore di handicap, la quale rimane, dunque, assoggettata soltanto alle esigenze organizzative e/o operative dell’azienda datrice e all’effettiva necessità del beneficio da parte del lavoratore onde evitare un uso strumentale dello stesso [15].
I permessi retribuiti concessi dalla legge n. 104/1992 non si computano ai fini delle ferie e della tredicesima, salvo che essi si cumulino con i congedi parentali ordinari e con i congedi per la malattia del figlio. Tale interpretazione risulta idonea ad evitare che l’incidenza sulla retribuzione possa essere di aggravio della situazione dei congiunti del portatore di handicap e disincentivare l’utilizzazione del permesso [16].
Il lavoratore subordinato che, dopo aver richiesto e ottenuto il permesso della legge 104, si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi di abuso del diritto. Tale condotta infatti si palesa, nei confronti del datore di lavoro, come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente, ed integra, nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale [17].
Il diritto del genitore o del familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente od un affine entro il terzo grado handicappato, di non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, se, da un lato, non può subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie esigenze tecnico-produttive dell’azienda ovvero della p.a., non è, invece, attuabile ove sia accertata – in base ad una verifica rigorosa anche in sede giurisdizionale – l’incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro [18].
Il diritto del genitore o del familiare-lavoratore, che assiste con continuità un handicappato, di scegliere la sede lavorativa più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, non si configura come un diritto assoluto od illimitato, perché tale diritto non può essere fatto valere quando il suo esercizio finisca per ledere, in maniera consistente, le esigenze economiche, organizzative o produttive del datore di lavoro e per porsi – soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di rapporti di lavoro pubblico – in contrasto con l’interesse della collettività, l’onere della cui prova incombe sulla parte datoriale privata o su quella pubblica [19].
Il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte [20].
In diritto – quale portatore di handicap – a non essere trasferito presso altra sede lavorativa, se non con il proprio consenso, resta subordinato alla gravità della disabilità, il cui accertamento è demandato ad apposita Commissione istituita presso la competente Azienda Sanitaria Locale [21].
Il diritto di scelta della sede di lavoro del disabile in situazione di gravità può essere esercitato, al ricorrere delle condizioni di legge, oltre che in sede di assunzione, anche successivamente e, in quest’ultimo caso, sia quando la situazione di handicap grave intervenga in corso di rapporto, sia quando esso preesista, ma l’interessato, per ragioni apprezzabili (come il matrimonio con persona di diversa residenza, la sopravvenienza nella sede di lavoro più vicina alla residenza di una posizione di lavoro compatibile ecc.), intenda mutare la propria residenza [22].
[1] Ad opera del d.lgs. 18.7.2011, n. 119.
[2] Circolare Inps 3.12.2010, n. 155.
[3] Art. 33, comma 3-bis, Legge n. 104/1992 come modificato dall’art. 6, comma 1 lett. b), D.Lgs. n. 119/2011.
[4] Circ. INPS 6 marzo 2012, n. 32.
[5] Circ. INPS 23 maggio 2007, n. 90; M. INPS 7 giugno 2007, n. 15021; Circ. INPS 29 aprile 2008, n. 53.
[6] Risp. Interpello Min. Lav. 27.1.2012, n. 1).
[7] Risp. Interpello Min. Lav. 6.7.2010, n. 31.
[8] Messaggio Inps 25.1.2011, n. 1740.
[9] Art. 33, c. 3 della legge n. 104/1992 come modificata dal d.lgs. n. 119/2011.
[10] D.lgs. n. 151/2001.
[11] Art. 42 del d.lgs. n. 151/2001.
[12] Cass. sent. n. 1087 del 9.05.2014.
[13] Cass. sent. n. 27232 del 22.12.2014.
[14] In seguito alla novella legislativa del 2010 (l. n. 183/2010 che ha modificato l’art. 33 della l. 104/1992).
[15] Cons. St. sent. n. 4200/2014.
[16] Cass. sent. n. 15435/2014.
[17] Cass. sent. n. 4984/2014.
[18] Cass. sent. n. 16102/2009.
[19] Cass. sent. n. 7945/2008.
[20] Cass. sent. n. 9201/2012.
[21] Cass., sent. n. 1033/2013.
[22] Cass. sent. n. 3896/2009.

(Fonte: La Legge per tutti)

Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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