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Licenziamento: l’offerta di risarcimento del datore di lavoro


Ordine Informa

In caso di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro può evitare la causa con il lavoratore offrendo a quest’ultimo, a titolo di risarcimento, una somma che va da 1 a 18 mensilità della retribuzione per ogni anno di servizio (si considera la retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR); se il lavoratore accetta la proposta di risarcimento non è più tenuto a contestare il licenziamento e la vertenza si chiude. È quanto prevede il Job Act [1]: si tratta della nuova conciliazione tra azienda e dipendente prevista per i casi di licenziamento illegittimo.
In buona sostanza, la nuova legge – per ridurre al minimo le cause tra lavoratori e aziende, e anzi prevenirle – consente al datore di lavoro di poter (se lo vuole) chiudere in via preventiva ogni contestazione del dipendente, prima di arrivare in causa, offrendo a quest’ultimo una somma “a saldo e stralcio”. È chiaro che, accettando la proposta, il lavoratore rinuncia a ogni ulteriore contestazione e non può riservarsi di agire per altre questioni in un momento successivo.
La nuova proposta transattiva di conciliazione si applica: ai lavoratori del comparto privato (non quindi ai pubblici dipendenti); assunti dopo il 7 marzo 2015 (ossia con il cosiddetto contratto a tutele crescenti); con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; ai lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri (non i dirigenti); ai lavoratori originariamente assunti con contratto a tempo determinato o di apprendistato, trasformato a tempo indeterminato a partire dalla medesima data, ossia dal 7 marzo 2015.
Il datore di lavoro deve inviare l’offerta di conciliazione entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento. La conciliazione, con l’offerta di pagamento del risarcimento del danno, deve tenersi in una delle cosiddette sedi protette ossia presso la DTL (Direzione Territoriale del Lavoro), il sindacato o presso una commissione di certificazione.
Quanto all’importo che il datore di lavoro deve (o meglio, può) proporre per conciliare la vertenza esso varia da 1 a 18 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio. La somma non può comunque essere più bassa di 2 mensilità e mai più alta di 18 mensilità.
Tale importo non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. In altre parole non viene tassato con l’IRPEF. Inoltre su tale cifra non vanno pagati anche i contributi previdenziali all’Inps. In altre parole l’importo si considera netto.
L’offerta va fatta mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare.
Nelle piccole imprese – e quindi per i datori che, nell’unità o nel Comune in cui è avvenuto il licenziamento non superano le 15 unità (e che, in ogni caso, non hanno più di 60 dipendenti in tutto il territorio nazionale) – tale importo è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità.
L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento, anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta: ne deriva quindi che l’offerta di conciliazione può essere proposta a prescindere dal fatto che il licenziamento sia stato già impugnato.
Infine, le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime impositivo previsto per le varie ipotesi, ma non usufruiscono dell’esenzione totale da contributi e Irpef ai sensi di quanto sopra.
La nuova proposta di conciliazione con il pagamento del risarcimento per illegittimo licenziamento costituisce un indubbio vantaggio sia per l’azienda che per il dipendente. Difatti: al dipendente evita un lungo giudizio e l’anticipo dei costi dell’avvocato; evita anche il rischio che, al termine della causa, l’azienda sia stata messa in liquidazione, venduta o fallita, con conseguenti maggiori difficoltà di recuperare il proprio credito; all’azienda evita di subire una più forte condanna al risarcimento all’esito della causa. Si pensi che, in un’azienda con più di 15 dipendenti, in caso di licenziamento discriminatorio, nullo o orale si rischia la reintegra del dipendente, più minimo 5 mensilità dell’ultima retribuzione per il calcolo del Tfr, più contributi; per il licenziamento disciplinare, di cui si dimostri l’insussistenza del fatto materiale si rischia la reintegra, più massimo 12 mensilità oltre ai contributi; per gli altri casi di licenziamento disciplinare illegittimo o per motivo oggettivo insussistenze (riorganizzazione aziendale) si rischiano 2 mensilità di risarcimento per ogni anno di servizio con un minimo di 4 e un massimo di 24.
(Fonte: La Legge per tutti)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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