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Nel caso in cui l’azienda decida di licenziare un dirigente non deve dare dimostrazione che non vi è possibilità di reimpiegarlo in mansioni uguali o equivalenti rispetto a quelle alle quali era prima preposto: il cosiddetto obbligo di “ripescaggio” (o repêchage, come lo chiamano i giuristi) riguarda solo i dipendenti ordinari e non i dirigenti. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza.
Il licenziamento del dirigente non è soggetto alle stringenti regole previste per tutti gli altri dipendenti, regole che – come si ricorderà – stabiliscono specifiche condizioni in presenza delle quali (soltanto) può intervenire il licenziamento, ossia:
– licenziamento disciplinare: quello cioè derivante da una condotta illecita del dipendente, il ché può portare al licenziamento in tronco per le condotte più gravi (cosiddetto licenziamento per giusta causa) o al licenziamento con il preavviso, per le condotte meno gravi (cosiddetto licenziamento per giustificato motivo soggettivo);
– licenziamento per riorganizzazione aziendale: è quello che dipende da un riassetto della struttura o delle mansioni all’interno dell’azienda, che può dipendere da una crisi (con obbligo di riduzione del personale) o da una migliore razionalizzazione delle risorse interne (e, quindi, rivolto a massimizzare gli utili ed evitare gli sprechi). È il cosiddetto licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
In questo caso (e non nel precedente), prima di licenziare il dipendente l’azienda deve verificare che lo stesso non possa essere reimpiegato in altre mansioni simili (anche inferiori se c’è il consenso del lavoratore), in modo da non fargli perdere completamente il posto di lavoro. È il cosiddetto obbligo di repêchage o ripescaggio. La prova deve essere fornita dall’azienda che, se non la dà, viene condannata dal giudice al risarcimento del danno nei confronti del dipendente illegittimamente licenziato.
Ebbene, tutte queste regole non valgono quando il licenziamento tocca un dirigente. L’unico vincolo per il datore di lavoro è di non fornire motivazioni pretestuose, date solo con l’intento di liberarsi del dipendente.
Il dirigente non può invocare neanche il diritto al ripescaggio, salvo che il ricollocamento sia previsto in un accordo sottoscritto dall’azienda.
Secondo il chiarimento fornito dalla Cassazione nella sentenza in commento, al dirigente non si applica l’obbligo di repêchage all’interno del gruppo in caso di licenziamento per motivi organizzativi. Non esiste alcun obbligo di ricollocamento del dirigente una volta cessato il contratto in quanto incompatibile con tale posizione dirigenziale, posizione per la quale vale il libero recesso dal contratto, senza che possano essere richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza per la diversa ipotesi del licenziamento per giustificato motivo del non dirigente.
Neanche una prassi diffusa in azienda può far nascere un obbligo di ricollocamento in capo all’azienda datrice di lavoro: al dirigente serve provare la sussistenza di un accordo di ricollocamento apposito, sottoscritto con il datore di lavoro, altrimenti la richiesta si concreta in un obbligo di repêchage che però, come già chiarito in passato dalla stessa Cassazione [2], non può mai configurarsi in favore di tale categoria di lavoratori apicali.
[1] Cass. sent. n. 14193/2016.
[2] Cass. sent. n. 3175/2013.
(Fonte: La Legge per tutti)