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Licenziamento del dipendente per rimborso spese non dovuto


Ordine Informa

Anche se il danno patrimoniale arrecato al datore di lavoro è minimo, la richiesta di rimborsi non dovuti lede il rapporto di fiducia tra dipendente e azienda.
Si può essere licenziati anche per pochi euro se il dipendente, con una richiesta di rimborsi spese non dovuti, ha così fatto venir meno il rapporto di fiducia che lo legava all’azienda. L’aver mentito davanti al datore di lavoro, anche se ciò ha provocato a quest’ultimo un minimo danno economico, è un motivo più che sufficiente per mandare a casa il dipendente. È quanto precisato dal Tribunale di Bari con una recente sentenza [1].

Secondo la pronuncia, il lavoratore che chiede un rimborso spese per degli esborsi in realtà mai sostenuti e, in forza di ciò, subisce un secco licenziamento disciplinare per giusta causa, non può appellarsi all’esiguo danno patrimoniale arrecato dal suo illecito, perché a pesare maggiormente è la lesione dei rapporti di fiducia col datore. La risoluzione del contratto di lavoro è così una sanzione pienamente commisurata alla gravità della condotta, non tanto per le sue conseguenze economiche, quanto per aver irrimediabilmente compromesso l’affidamento che il datore riponeva nel dipendente e che lo porterebbero, in futuro, a non fidarsi più di lui.

La vicenda

Un dipendente, avendo partecipato ai lavori esterni di una trasferta in una località distante, aveva richiesto all’azienda il rimborso dei pasti per alcune giornate, presentando la nota spese, sebbene in una di tali occasioni, invece, non si era recato sul posto. A propria discolpa, il lavoratore si era giustificando sostenendo che l’aver richiesto il rimborso per quella giornata era stato un mero errore materiale, perché quel giorno non era in salute. Ma, secondo i giudici, tale circostanza non era stata provata. Sicché è stato confermato il suo licenziamento. 

Quando scatta il licenziamento disciplinare?

Secondo la Cassazione, per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa che consenta il licenziamento – causa che abbia una gravità tale da ledere per sempre il rapporto fiduciario tra l’azienda e il dipendente – occorre valutare due aspetti:

– da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore: va valutata, in particolare, la portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, le circostanze nelle quali sono stati commessi e l’intensità dell’intenzione del dipendente di commettere l’illecito;

– dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta: il giudice deve stabilire se la lesione della fiducia su cui si basa la collaborazione del dipendente sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare. 

In buona sostanza, il licenziamento risulta giustificato soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali oppure tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto.

L’esiguo danno patrimoniale causato, poi, non esclude la giusta causa del licenziamento, se il comportamento del lavoratore ha comunque minato il rapporto di fiducia prefigurando un atto illecito dal punto di vista penale e civile, con la mancata effettuazione della prestazione.

Inoltre, nel caso di specie, la gravità del comportamento del lavoratore era stata accentuata dal fatto che era stato prodotto un falso, con l’apposizione dell’orario di fine giornata, per ottenere il rimborso, il dì seguente.

LA SENTENZA

LA MASSIMA

Ai fini del licenziamento disciplinare del lavoratore per giusta causa, non osta l’esiguo danno patrimoniale arrecato, considerato che la modesta entità del fatto può essere ritenuta non tanto con riferimento alla tenuità del danno patrimoniale, quanto in relazione all’eventuale tenuità del fatto oggettivo, sotto il profilo del valore sintomatico che lo stesso può assumere rispetto ai futuri comportamenti del lavoratore e quindi alla fiducia che nello stesso può nutrire l’azienda, essendo necessario al riguardo che i fatti addebitati rivestano il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, specialmente, dell’elemento essenziale della fiducia, cosicché la condotta del dipendente sia idonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento (cfr., ex plurimis, Cass. n.11806/1997; n. 5633/2001).

[1] Trib. Bari, sent. n. 11/2016 del 11.01.2016

(Fonte: La Legge per tutti) 


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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