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Lavoro di domenica: il datore di lavoro può obbligarti al lavoro domenicale?


Ordine Informa

Sono una commessa presso un centro commerciale ed ho un bambino di 2 anni. Mi è stato imposto dalla direzione di lavorare per 2 domeniche al mese. Possono farlo?
Il lavoro domenicale è una materia assai complessa, poiché è disciplinata dalla legge [1] solo in via tendenziale: quel che la normativa stabilisce inderogabilmente, è la durata del riposo settimanale, di 24 ore consecutive ogni 7 giorni, da sommare con le ore di riposo giornaliero, per un totale effettivo di 35 ore, da intendersi come media ogni 14 giorni (ciò vuol dire che, se, in una data settimana, il dipendente fruisce di sole 11 ore di riposo, la settimana successiva avrà diritto a goderne 59) .

La legge stabilisce altresì che, di norma, il riposo settimanale debba coincidere con la domenica: si tratta, tuttavia, per questo aspetto, di una normativa d’indirizzo, specificata, nel dettaglio, dalla contrattazione collettiva. I contratti collettivi nazionali (CCNL) contengono, peraltro, per la maggior parte dei casi, la sola disciplina-quadro, mentre la regolamentazione dettagliata è demandata ai contratti di secondo livello, ovvero territoriali, ed ai contratti collettivi aziendali.

Dunque, le regole cambiano non solo da settore a settore (terziario, industria, agricoltura…), ma anche a seconda del territorio o dell’impresa di appartenenza.

In linea generale, a prescindere dalle specifiche, possiamo dire che, perché il datore di lavoro possa realmente esigere la prestazione lavorativa di domenica (o in un giorno festivo), devono esistere le seguenti condizioni:

– l’attività esercitata dev’essere di pubblica utilità, nel senso che dev’essere finalizzata ad un prodotto o un servizio utile al pubblico;

– devono sussistere, per l’impresa, esigenze tecniche ed organizzative motivate;
– la data in cui il lavoratore deve effettuare la prestazione festiva deve essere comunicata con un congruo preavviso;
– deve comunque sussistere il consenso, anche tacito, da parte del lavoratore.

Su quest’ultima condizione, però, sono sorte numerose discussioni interpretative: secondo alcune teorie, il consenso presuppone l’esistenza di un accordo individuale, caso per caso, anche verbale, tra dipendente ed azienda; secondo l’indirizzo prevalente, invece, perché vi sia consenso, è sufficiente l’esistenza di un accordo collettivo, nazionale, territoriale ed aziendale.

Il Contratto Collettivo Commercio e Terziario parrebbe propendere per quest’ultima interpretazione, poiché è chiaramente indicato che il datore ha la facoltà di richiedere la prestazione lavorativa di domenica, anche quando il dipendente goda, per contratto, del riposo settimanale in tale giornata.

Tuttavia, esistono delle categorie di soggetti che possono legittimamente rifiutarsi di lavorare nelle domeniche o nei festivi, e precisamente:

– i genitori di minori al di sotto dei 3 anni;

– i dipendenti che assistono portatori di handicap, se conviventi;

– i lavoratori che assistono persone non autosufficienti, titolari di assegno di accompagnamento, qualora conviventi;

– i dipendenti portatori di handicap grave secondo la Legge 104 [2];

– altre categorie di lavoratori, secondo quanto stabilito dal secondo livello di contrattazione.

Nel caso della lettrice, dunque, alla quale si applica il CCNL Commercio e Terziario, sarà possibile opporre un legittimo rifiuto al datore, in quanto madre di un bambino al di sotto dei 3 anni.

Ricordiamo, infine, che il lavoro domenicale prevede, di regola, delle maggiorazioni, che variano a seconda del contratto collettivo applicato, e delle integrazioni di secondo livello maggiormente favorevoli al dipendente. 

(Fonte: La Legge per tutti)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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