Skip to main content

Indennità sostitutiva di preavviso sempre dovuta dopo il licenziamento


Ordine Informa

Lavoratore e datore di lavoro tenuti a dare il preavviso: nel caso di preavviso non lavorato scatta l’indennità sostitutiva; come funziona.
All’atto del licenziamento, se il datore di lavoro non dà il preavviso, deve pagare al dipendente, la cosiddetta indennità sostitutiva del preavviso anche se questi ha trovato subito un’altra occupazione e, dunque, non è rimasto un solo giorno con le mani conserte. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza [1]. Ma procediamo con ordine.
Cos’è l’indennità sostitutiva del preavviso?
La parte che recede dal rapporto di lavoro – sia essa il datore che il dipendente – è tenuta a dare un preavviso alla controparte, affinché questa si possa organizzare nel frattempo e trovare una sostituzione [2]. Tale periodo, che è il lasso di tempo che intercorre tra la comunicazione del recesso e il momento in cui lo stesso acquista effetto, ha la funzione di evitare che la risoluzione immediata del contratto possa determinare un pregiudizio all’altra parte. Pertanto, durante il preavviso il contratto di lavoro viene eseguito regolarmente. Chi rinuncia al preavviso e intende recedere immediatamente dal rapporto di lavoro può certamente farlo, ma deve corrispondere alla controparte una indennità: la cosiddetta indennità sostitutiva del preavviso.
Se a non dare il preavviso è il lavoratore, l’indennità gli verrà scalata dall’ultima busta paga.
Se, viceversa, a non dare il preavviso è il datore di lavoro, è tenuto a versare l’indennità con l’ultima busta paga del dipendente.
Che differenza c’è tra preavviso lavorato e preavviso non lavorato?
Nel caso di preavviso lavorato, il contratto di lavoro prosegue regolarmente durante tale termine. Il datore di lavoro ha, pertanto, l’obbligo di corrispondere la retribuzione e gli eventuali aumenti previsti dai contratti collettivi, nonché gli aumenti sui ratei delle mensilità aggiuntive. Deve anche mantenere le precedenti mansioni, le condizioni di sicurezza, ecc.
Il lavoratore conserva, tra gli altri, gli obblighi di diligenza, fedeltà e subordinazione, di rispetto dell’orario di lavoro. Egli inoltre ha diritto alla maturazione e all’eventuale godimento delle ferie, con conseguente spostamento del termine finale del preavviso.
Il cosiddetto preavviso non lavorato è, invece quello che scatta quando il preavviso non viene dato e, quindi, il rapporto di lavoro cessa immediatamente. In tale periodo il dipendente non va a lavorare in azienda ma ottiene l’indennità di preavviso.
Fa eccezione l’ipotesi di preavviso non lavorato per forza maggiore.
Quando c’è esenzione dall’obbligo di preavviso?
L’obbligo di preavviso non sussiste nei seguenti casi di risoluzione del rapporto:
– per giusta causa;
– durante o al termine del periodo di prova;
– allo scadere del contratto a tempo determinato;
– per recesso consensuale di entrambe le parti;
– per intervento della cassa integrazione;
– per mancata ripresa del servizio a seguito di reintegrazione.
Quanto dura il preavviso?
In gran parte dei casi la durata minima del preavviso è stabilita dai CCNL e varia a seconda della categoria dei lavoratori (operai o impiegati), del livello di inquadramento, dell’anzianità e, a volte, a seconda che si tratti di licenziamento o di dimissioni.
Il contratto individuale può prevedere solo termini più lunghi rispetto a quelli dei contratti collettivi.
Quando l’indennità è sempre obbligatoria in favore del lavoratore?
Vi sono ipotesi in cui il datore di lavoro è tenuto in assoluto a corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso. Si tratta di situazioni di sopravvenuta impossibilità di svolgere la prestazione lavorativa o di altre situazioni venutesi a creare tra le parti; esse sono:
– morte del lavoratore;
– dimissioni del lavoratore per giusta causa;
– dimissioni della lavoratrice madre e del padre lavoratore, nei periodi protetti;
– dimissioni della lavoratrice a causa di matrimonio;
– licenziamento senza preavviso, successivamente dichiarato illegittimo o convertito dal giudice in licenziamento con obbligo di preavviso. Si tratta, ad esempio, del licenziamento per giusta causa convertito dal giudice in licenziamento per giustificato motivo;
– risoluzione del contratto per fallimento o liquidazione coatta amministrativa, se non è possibile dare il preavviso.
Se il dipendente trova subito lavoro
Il datore di lavoro ha l’obbligo di corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso in ogni caso di licenziamento in presenza di un preavviso non lavorato, quindi anche l’ipotesi in cui il lavoratore licenziato abbia immediatamente trovato un’altra occupazione lavorativa.
A chiarirlo è stata la Cassazione con la sentenza richiamata in apertura.
LA SENTENZA
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 ottobre – 1 dicembre 2015, n. 24429
Presidente Venuti – Relatore Tricomi
Svolgimento del processo
1. La Corte d’Appello di Genova, con la sentenza n. 237 del 2010, depositata il 30 aprile 2010, rigettava l’impugnazione proposta da ENEL RETE GAS spa nei confronti di B.A. in ordine alla sentenza n. 716/08 emessa tra le parti dal Tribunale di Massa.
2. Il Tribunale aveva condannato la suddetta società a corrispondere al B. l’indennità di mancato preavviso, e la conseguente differenza sul TFR, poiché l’azienda aveva comunicato al lavoratore la cessazione del rapporto di lavoro, per cessazione del servizio fognature e depurazione della città di Massa fino ad allora da essa medesima gestito in appalto, senza il rispetto del termine di preavviso previsto dal CCNL.
3. A giudizio del Tribunale non valeva a giustificare il mancato rispetto del termine di preavviso e ad escludere, quindi, il diritto del lavoratore a percepire l’indennità sostitutiva, il fatto che il lavoratore fosse stato assunto, con passaggio diretto, dalla società subentrante nell’appalto.
4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre la società ENEL RETE GAS spa, prospettando tre motivi di impugnazione.
5. Resiste con controricorso il B. , eccependo l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso in ragione della mancata produzione del CCNL e chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è prospettata violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 c.c., in relazione all’art. 12 delle disp. sulla legge in generale (art. 360, n. 3, cpc).
La sentenza di appello, nel fare applicazione dei principi affermati da Cass. n. 7417 del 1994, secondo cui l’indennità di preavviso di cui all’art. 2118 c.c., presuppone unicamente il recesso e la mancanza del preavviso e spetta a prescindere dalla sussistenza o meno di un danno reale a carico del dipendente licenziato e quindi anche quando quest’ultimo si sia subito rioccupato, interpreta la suddetta disposizione del c.c. in modo formalistico, senza considerare la ratio del preavviso e senza fare, quindi riferimento all’intenzione del legislatore. Ed infatti la ratiodell’istituto è quella di consentire al lavoratore di trovare un’altra occupazione, circostanza che non ricorre nella fattispecie in esame in ragione di quanto previsto dal meccanismo contrattuale previsto dall’art. 6 del CCNL FISE, poiché il lavoratore è stato assunto dalla impresa neo appaltatrice senza soluzione di continuità.
2. Con il secondo motivo di impugnazione è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del CCNL 30 aprile 2003 FISE in relazione agli artt. 1362 e 1363 c.c. (art. 360, n. 3, cpc).
Dalla suddetta disposizione si evince solo che l’impresa cessante deve corrispondere al lavoratore, per effetto della risoluzione del rapporto di lavoro, quanto dovuto per effetto della risoluzione stessa, ma non altro. Tale previsione, anche in ragione della dichiarazione congiunta in calce alla stessa, interpretata in ragione dei criteri ermeneutici delle disposizioni sopra richiamate, non può ritenersi estesa all’indennità sostitutiva del preavviso.
3. Con l’ultimo motivo di impugnazione è dedotta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Erroneamente la Corte d’Appello ha ritenuto non rilevanti fatti successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, quale, nel caso di specie, la ripresa dell’attività lavorativa.
4. Occorre premettere che la mancata produzione del CCNL di settore determina l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso, ma non da luogo all’improcedibilità del ricorso stesso. Ed infatti, la disamina delle censure prospettate con il primo e con il terzo motivo non presuppone l’interpretazione delle disposizioni della contrattazione collettiva invocata con il secondo motivo di ricorso (Cass., n. 4350 del 2015).
5. Il primo ed il terzo motivo di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati.
5.1. Come questa Corte ha già avuto modo di riaffermare (Cass., n. 1148 del 2014), nel trattare identica fattispecie, l’art. 2118 c.c. prevede l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso in ogni caso di licenziamento in cui non ci sia stato un preavviso lavorato senza eccettuare l’ipotesi in cui il lavoratore licenziato abbia immediatamente trovato un’altra occupazione lavorativa, neppure nell’ipotesi in cui la contrattazione collettiva preveda un procedimento per pervenire al passaggio diretto e immediato del personale dell’impresa cessante nell’appalto di servizi alle dipendenze dell’impresa subentrante lasciando ferme la risoluzione del rapporto di lavoro e la corresponsione di quanto dovuto per effetto della risoluzione stessa da parte dell’impresa cessante.
Non conferente, pertanto, è nella fattispecie il principio affermato da Cass., n. 4553 del 1995, ed invocato dalla difesa della società ricorrente; pronuncia questa che ha si ritenuto che l’indennità sostitutiva del preavviso non compete al lavoratore nel caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro (ex art. 1372 c.c.) seguita, senza soluzione di continuità, da una nuova assunzione dello stesso lavoratore alle dipendenze di un diverso datore di lavoro, atteso che in tale ipotesi non ricorrono le finalità sottese alla disposizione di cui all’art. 2118 c.c., individuabili, da un lato, nell’esigenza di impedire che il lavoratore si trovi all’improvviso e contro la sua volontà di fronte alla rottura del contratto ed in conseguenza di ciò, versi in una imprevista situazione di disagio economico, e, dall’altro, in quella di consentire che il lavoratore stesso possa usufruire di un tempo minimo per trovarsi una nuova occupazione o di organizzare la propria esistenza nell’imminenza della cessazione del rapporto di lavoro. Ma appunto tale principio si riferisce alla diversa fattispecie della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
Né la circostanza che al primo rapporto di lavoro con l’impresa cedente fosse seguito quello successivamente instaurato con l’impresa subentrante, vale ad escludere l’applicazione della regola generale posta dall’art. 2118 c.c. secondo cui, in caso di recesso dal rapporto di lavoro del datore di lavoro senza giusta causa, quest’ultimo è tenuto al pagamento in favore del lavoratore licenziato dell’indennità sostitutiva del preavviso.
5.2. In questo senso, nella stessa identica fattispecie, come ricorda la sentenza n. 1148 del 2014, si era già pronunciata questa Corte (Cass., n. 9195 del 2012) su un precedente ricorso proposto dalla medesima società ENEL Rete Gas spa, avverso analoga pronuncia della Corte d’appello di Genova; ricorso parimenti rigettato.
Nel citato precedente questa Corte ha osservato, altresì, che le disposizioni della contrattazione collettiva – art. 6 del CCNL di settore e la dichiarazione congiunta in calce allo stesso – non introducono elementi atti a sostenere la tesi della ricorrente, come da quest’ultima prospettato. L’art. 6 in questione, richiamato nella sentenza del giudice d’appello, afferma: “nei casi di passaggio di gestione per scadenza del contratto di appalto, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro e la corresponsione di quanto dovuto per effetto della risoluzione stessa da parte dell’impresa cessante, il datore di lavoro subentrante e la RSU e, in mancanza le RSA delle OO.SS stipulanti, congiuntamente alle strutture territoriali competenti, si incontreranno in tempo utile per avviare le procedure relative al passaggio diretto ed immediato del personale dell’impresa cessante addetto allo specifico appalto, nei limiti dei dipendenti in forza 180 giorni calendariali prima della scadenza dell’appalto”.
La medesima disposizione prevede, altresì:
“Al personale di cui al comma che precede l’azienda subentrante riconosce il trattamento economico e normativo contrattuale già corrisposto dall’impresa cessante”.
Nella sentenza n. 9195 del 2012, si affermava, quindi, che come ritenuto dalla Corte d’Appello, facendo corretta applicazione delle regole dell’ermeneutica contrattuale, con congrua motivazione, la suddetta previsione della contrattazione collettiva esclude che nel passaggio di gestione si configuri continuità del rapporto di lavoro tra impresa cessante e impresa subentrante. Il rapporto che si verrà ad instaurare è nuovo rispetto a quello cessato. Le parti sociali hanno voluto sottolineare la cesura tra i due rapporti laddove, nella dichiarazione congiunta in calce all’art. 6, hanno espressamente ribadito che “le parti stipulanti si danno atto che la normativa di cui al presente articolo, in caso di assunzione per passaggio diretto ed immediato, non modifica il regime connesso alla cessazione di appalto che prevede la risoluzione del rapporto di lavoro con l’impresa cessante – ai sensi della legge 15 luglio 1996, n. 604, art. 3 – e la costituzione ex novo del rapporto di lavoro con l’impresa subentrante”.
6. Poiché la sentenza della Corte d’Appello di Genova ha fatto corretta e congrua applicazione dei principi di diritto sopra richiamati, il ricorso deve essere rigettato.
7. Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo, con distrazione a favore dei difensori del resistente avv. Maria Cristina Nicolai e avv. Roberto Valentini, dichiaratasi antistatali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro cento per esborsi, Euro tremila per compensi professionali, oltre accessori di legge, con distrazione a favore dei difensori del resistente avv. Maria Cristina Nicolai e avv. Roberto Valentini dichiaratasi antistatari.
[1] Cass. sent. n. 24429/15 dell’1.12.2015.
[2] Art. 2118 cod. civ.
(Fonte: La Legge per tutti)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
X