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Demansionamento del lavoratore e risarcimento danni


Ordine Informa

Demansionamento o di dequalificazione professionale del dipendente: come funziona la relativa richiesta di danni?
Il demansionamento (o dequalificazione professionale) consiste nell’assegnazione al lavoratore di mansioni inferiori rispetto alla sua qualifica di appartenenza, o anche nella non assegnazione di alcuna mansione. In questi casi, il lavoratore ha diritto al risarcimento dei danni subiti oltre all’emanazione di un vero e proprio ordine di reintegrazione nelle sue precedenti mansioni, od in altre di pari livello.
Focalizzandoci sulla richiesta di risarcimento dei danni, bisogna dire che questa può risultare molto complessa e non sempre facile da quantificare, provare e dimostrare.
Si deve subito sottolineare che sta al lavoratore dequalificato provare tutti i danni subiti.
Si parla espressamente di danni e non di danno perché in caso di dequalificazione o demansionamento potrebbero coesistere diversi tipi di danni che, come spesso accade, potrebbero essere tutte contemporaneamente presenti. Essi sono:
– il danno patrimoniale (o professionale);
– il danno biologico;
– il danno esistenziale.
1 | DANNO PATRIMONIALE
Il danno patrimoniale (o danno professionale) è probabilmente il più semplice da dimostrare e richiedere. Allorquando un lavoratore è stato ingiustamente inquadrato in un livello inferiore a quello a cui aveva diritto, la parte datoriale è obbligata a risarcire il lavoratore corrispondendogli tutte le differenze retributive ed economiche a cui sarebbe stata obbligata se il lavoratore fosse stato correttamente collocato.
2 | DANNO BIOLOGICO
Il danno biologico è sicuramente più complesso in quanto non può prescindere da una valutazione medica e medico-legale. Qualora il lavoratore lamenti di aver subito delle lesioni che si sono riverberate sul suo stato fisico e/o psicologico a causa del demansionamento, può chiedere che un medico accerti tale stato e conseguentemente, sulla base della perizia medico- legale, avanzare la richiesta del relativo risarcimento. Per la quantificazione e liquidazione del danno biologico esistono delle specifiche tabelle adottate da tutti i tribunali.
3 | DANNO ESISTENZIALE
L’aspetto più problematico e sicuramente meno noto ai non addetti ai lavori è il cosiddetto “danno esistenziale” ovvero “danno alla vita di relazione”. In altri termini, il danno esistenziale è il pregiudizio che la dequalificazione od il demansionamento provoca nella sfera personale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali (ad esempio con i propri cari) che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno.
Affinché il lavoratore possa pretendere un risarcimento per il danno esistenziale il medesimo dovrà fornire “la prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l’evento dannoso” [1]. È quindi necessario dare la prova che il demansionamento, concretamente, ha inciso in senso negativo alterandone l’equilibrio e le abitudini di vita del lavoratore.
Come è evidente, la cosa non è assolutamente facile.
Anche per quanto riguarda la quantificazione non c’è ancora univocità. La quantificazione è per via equitativa e spesso è una percentuale (20%, 40% o 50%) del danno biologico. Ma è possibile che si adottino anche altri criteri soprattutto quando il danno biologico è di lieve entità e, viceversa il demansionamento si manifesti in fatti gravi o odiosi.
Tutto quanto sopra è stato recentissimamente ribadito dalla Corte di Cassazione, con una sentenza depositata il 20 febbraio 2015 [2].
La vicenda
La Corte d’appello di Catanzaro confermava la sentenza del Tribunale di Cosenza che aveva accolto la domanda proposta da un giornalista nei confronti della RAI Radiotelevisione Italiana spa intesa ad ottenere il risarcimento dei danni subiti nel corso del rapporto di lavoro intercorso fra le parti limitatamente al danno professionale conseguito al demansionamento subito. Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la RAI.
I primi tre motivi di ricorso, strettamente collegati fra loro, sono stati giudicati infondati dal Collegio. Infatti, dopo aver esaminato le prove testimoniali e le altre risultanze processuali, la Corte territoriale ha ritenuto con motivazione congrua e non suscettibile di alcuna revisione in sede di legittimità, che il lavoratore fosse stato ingiustamente demansionato perché, dopo essersi per anni interessato di cronaca nera e giudiziaria e poi di cronaca politica, era stato assegnato a compiti di scarsa rilevanza e del tutto estranei alla cronaca politica.
L’errore della Corte d’appello sta, invece, nel non aver fornito alcuna idonea e sufficiente motivazione sia in termini di individuazione della natura dei danni che della loro sussistenza.
Onere della prova dei danni
Il Collegio ricordava come, nel rispetto dei consolidati principi giurisprudenziali sull’onere della prova di ogni genere di danno, questo spetti al danneggiato. Anche attraverso presunzioni. Infatti, è stato affermato che in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale che ne deriva non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, della natura e delle caratteristiche del pregiudizio medesimo e che mentre il riconoscimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accettabile, il danno esistenziale, provocato sul fare non reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro rilievo la prova per presunzioni.
Per tali ragioni, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata in relazione ai motivi di ricorso accolti, con rinvio alla Corte d’appello che provvederà alla liquidazione del danno e a regolare le spese del giudizio di legittimità.
[1] Cass. S.U. sent. n. 6572/2006.
[2] Cass. sent. n. 3474/2015.
(Fonte: La Legge per tutti)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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