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Credito d’imposta e onere della prova : ordinanza cassazione n.6947/2014


Fisco

Per la Cassazione non è sufficiente l’indicazione in dichiarazione del credito fiscale ma sul contribuente incombe l’onere della prova concreta. Un commento con analisi della giurisprudenza e della prassi
Nell’Ordinanza n. 6947 del 25 Marzo 2014 la Corte di cassazione ha stabilito che incombe sul contribuente, il quale invochi il riconoscimento di un credito d’imposta, l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del medesimo, e, a tal fine, non è sufficiente l’esposizione della pretesa nella dichiarazione, poiché il credito fiscale non nasce da questa, ma dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo. Pertanto nella fattispecie affrontata era la contribuente che avrebbe dovuto fornire la prova dell’esistenza del credito fiscale, mediante esibizione quanto meno del bilancio di esercizio, non essendo sufficiente la mera indicazione del credito nella dichiarazione.
IL CASO
La società X Spa propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza della C.T.R. Lombardia n. 33/14/11, depositata il 29 marzo 2011, con la quale essa accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione di quella provinciale, sicché l’opposizione relativa alla cartella di pagamento, riguardante il mancato riconoscimento del credito d’imposta per Irpeg, inerente all’anno 2002, veniva rigettata. In particolare il giudice di secondo grado osservava che la documentazione prodotta dall’appellata non forniva punto la prova del diritto rivendicato. Inoltre l’amministrazione esattamente non aveva riconosciuto quel credito d’imposta, anche se era stato riportato successivamente nella dichiarazione dei redditi del 2004, in quanto quella precedente, in cui era stato indicato, era stata presentata soltanto il 30.5.2007, e quindi addirittura quattro anni dopo, senza che perciò al riguardo l’ente impositore avesse potuto effettuare alcuna preventiva verifica. L’ Agenzia delle entrate resiste con controricorso, mentre la ricorrente ha depositato memoria. (…)
IL COMMENTO
1. Il PROBLEMA DELLA MOTIVAZIONE DELLA CARTELLA EMESSA CON PROCEDURA AUTOMATIZZATA PER MANCATA INDICAZIONE DEL CREDITO D’IMPOSTA IN DICHIARAZIONE
Vi sono alcune pronunce della Corte che depongono per l’assolvimento dell’onere motivazionale da parte del soggetto emittente.
In primis l’ordinanza della Cassazione n. 5318 del 3 aprile 2012 afferma che “La sentenza impugnata si è discostata dalla condivisibile giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 14070 del 2011, 12762 del 2006) secondo cui la diretta iscrizione a ruolo della maggiore imposta, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, è ammissibile, e può evitare l’attività di rettifica, quando il dovuto sia determinato mediante un controllo della dichiarazione meramente cartolare, sulla base dei dati forniti dal contribuente, o di una mera correzione di errori materiali o di calcolo. Con tali modalità non possono, invece, risolversi questioni giuridiche o esaminarsi atti diversi dalla dichiarazione stessa (senza previamente contestare al contribuente il relativo accertamento con il prescritto avviso). Nella specie, la negazione della detrazione nell’anno in verifica di un credito dell’anno precedente, per il quale la dichiarazione era stata omessa, non può essere ricondotta al mero controllo cartolare, in quanto implica verifiche e valutazioni giuridiche, dovendo ritenersi che il disconoscimento dei crediti e l’iscrizione della conseguente maggiore imposta dovevano, pertanto, avvenire previa emissione di motivato avviso di rettifica”. (…)
1. LA PRASSI AMMINISTRATIVA: GLI EFFETTI AI FINI DELL’UTILIZZO DEL CREDITO
La risoluzione 74/E del 2007, richiama un principio di diritto espresso dalla cassazione con sentenza n. 12012 del 29 marzo 2006, dep. il 22 maggio 2006), “… in quanto la decadenza (n.d.R. “del diritto alla detrazione”) è comminata dalla norma (cfr. art. 28 del D.P.R. n. 633 del 1972 allora vigente) soltanto nel caso in cui il credito o l’eccedenza di imposta versata non venga riportata nella prima dichiarazione utile” (cfr. sentenza n. 523 del 3 luglio 2001, depositata il 18 gennaio 2002)”. Seppur riferita all’IVA, non si vede perché il contribuente debba discostarsi dalla risoluzione citata. Peraltro l’art. 2, co 7, del d.P.R. 322/1998 come ha rilevato la stessa Agenzia delle entrate nella circolare 34/E/2012 “dal tenore letterale della disposizione emerge che le dichiarazioni c.d. “tardive” costituiscono per l’Amministrazione finanziaria titolo per la riscossione delle imposte che ne derivano, mentre nulla viene disposto in ordine agli eventuali crediti ivi indicati”.(…)
Fonte (Fisco e Tasse)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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