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Contributi da versare su ogni beneficio o somme pagate ai lavoratori


Ordine Informa

È assoggettato a contribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, salva la prova che l’erogazione appartenga ad una delle categorie espressamente escluse dalla legge.
Qualsiasi benefit, somma o regalo in natura erogato dal datore di lavoro ai dipendenti è soggetto a contribuzione [1], finanche il parcheggio gratuito o l’abbonamento a programmi televisivi. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza [2].

La Corte precisa che l’azienda deve versare i contributi su ogni somma, regalo, beneficio e, in generale, ogni strumento professionale, in grado di accrescere e migliorare la capacità di lavoro dei dipendenti. La legge [1], infatti, assoggetta a contribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro. Sono escluse, dalla stessa normativa, alcune erogazione specifiche quali ad esempio: 

a) le somme corrisposte a titolo di trattamento di fine rapporto;

b) le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori, nonché quelle la cui erogazione trae origine dalla predetta cessazione;

c) i proventi e le indennità conseguite a titolo di risarcimento danni;

d) le somme poste a carico di gestioni assistenziali e previdenziali obbligatorie per legge;

e) le erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali, ovvero di secondo livello, delle quali sono incerti la corresponsione o l’ammontare e la cui struttura sia correlata dal contratto collettivo medesimo alla misurazione di incrementi di produttività, qualità ed altri elementi di competitività assunti come indicatori dell’andamento economico dell’impresa e dei suoi risultati.

LA SENTENZA

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 febbraio – 27 aprile 2016, n. 8382

Presidente Bronzini – Relatore Cavallaro

Fatto

Con sentenza depositata il 18.7.2013, la Corte d’appello di Roma, in riforma della statuizione di primo grado, revocava il decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Roma aveva ingiunto a Sky Italia s.r.l. di pagare all’INPGI somme per contributi evasi sul c.d. pacchetto Sky e sui buoni pasto.

La Corte, per quanto qui interessa, riteneva che l’abbonamento ai programmi televisivi gratuitamente concesso ai taluni dei giornalisti dipendenti dell’azienda dovesse considerarsi strumento idoneo ad accrescere la loro professionalità e come tale fosse estraneo alla nozione di retribuzione imponibile ai fini contributivi, a prescindere dal particolare settore di informazione cui il singolo giornalista era addetto. Per la cassazione di tali statuizioni ricorre l’INPGI, affidandosi a due motivi di ricorso. Resiste Sky Italia s.r.l. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

Con il primo motivo, l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 414 n. 4 c.p.c. nonché dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte escluso l’assoggettabilità a contribuzione dei controvalore del c.d. pacchetto completo Sky nonostante che la società controricorrente avesse dedotto contraddittoriamente al riguardo che si trattava di un’erogazione riconducibile ad attività ricreative e di formazione professionale. Con il secondo motivo, l’Istituto ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 12, I. n. 153/1969, dell’art. 51, d.P.R. n. 917/1986, e dell’art. 45 CCNL per i dipendenti di imprese giornalistiche, in relazione agli artt. 1362 ss. e 1369 c.c., per avere la Corte territoriale sostenuto che l’abbonamento potesse costituire nella sua interezza strumento professionale in grado di accrescere e migliorare la capacità di lavoro dei giornalisti dipendenti e dunque non fosse riconducibile in quanto tale alla nozione di retribuzione imponibile ai fini contributivi. I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente in considerazione dell’intima connessione delle censure svolte, sono fondati. Come noto, l’art. 12, I. 153/1969, stabilisce che debba essere assoggettato a contribuzione “tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza dei rapporto di lavoro” e dà luogo una presunzione generale di assoggettamento che può essere vintasolo dalla dimostrazione che l’erogazione appartenga ad una delle categorie espressamente escluse da contributo dal secondo comma dei medesimo art. 12 (v. da ult. Cass. n. 461 del 2011). Nel caso di specie, la Corte di merito ha ritenuto che l’esenzione dalla contribuzione dell’intero controvalore dell’abbonamento dovesse giustificarsi per , essere quest’ultimo (rectius: per l’attitudine ili quest’ultimo a costituire) “strumento professionale in grado di accrescere e migliorare la capacità di lavoro dei dipendenti giornalisti, [ …] anche nella prospettiva del più ampio e diversificato impiego del proprio personale e del legittimo esercizio del ius variandi”, così implicitamente facendo propria la tesi aziendale secondo cui si tratterebbe di spese strumentali all’attività d’impresa e come tali estranee alla nozione di retribuzione imponibile di cui all’art. 51, d.P.R. n. 917/1986. Tuttavia, come già ritenuto da questa Corte in fattispecie analoga (v. Cass. n. 1255 del 2016), codesta strumentalità può essere sicuramente riconosciuta solo nei limiti in cui l’abbonamento concerna programmazioni che afferiscano ai contenuti dell’attività giornalistica svolta dal singolo dipendente, non già quando abbia ad oggetto la totalità dellaprogrammazione televisiva: per quanto possa essere interesse dell’azienda il miglioramento del capitale umano dei propri dipendenti, l’art. 45 CCNLG confina la rilevanza giuridica di codesto interesse nell’ambito delle attività “attinenti le loro specifiche competenze”, onde l’esonero contributivo sul controvalore dell’abbonamento televisivo può essere legittimamente rivendicato solo previa dimostrazione (e nei limiti) della correlazione tra i programmi oggetto dell’abbonamento e le competenze del giornalista che ne beneficia, rientrando diversamente nella presunzione generale di cui all’art. 12, 1- n. 153/1969, cit.­ Non essendosi attenuta la Corte di merito ai superiori principi, la sentenza impugnata va cassata e rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. Tenuto conto dell’accoglimento dei ricorso, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presentegiudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

[1] Ai sensi dell’art. 12, legge n. 153/1969.

[2] Cass. sent. n. 8382/16 del 27.04.2016.

(Fonte: La Legge per tutti) 

 


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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