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Avviso di accertamento fiscale nullo: che fine fa il reato?


Ordine Informa

Capita non poche volte che da un accertamento fiscale notificato dall’Agenzia delle Entrate derivi un procedimento penale: la violazione delle norme tributarie spesso si accompagna alla violazione di quelle penali perché lo stesso comportamento è sia un illecito fiscale che un reato. Sicché, oltre al procedimento davanti alla commissione tributaria (necessario per impugnare l’avviso di accertamento) si può essere costretti a difendersi davanti al tribunale penale. Due cause, che possono addirittura duplicarsi se, dopo, arriva anche la cartella di pagamento di Equitalia e, magari, l’Inps ridetermina la misura dei contributi a seguito del reddito ricalcolato dalle Entrate. Insomma, un effetto a cascata con conseguenze non del tutto indolori per il contribuente.
Come si può mettere fine a tutto questo? Semplicemente impugnando l’atto iniziale di tale sequenza, quello cioè che ha avviato tutto il procedimento e la notifica dei successivi: l’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate. È su questo fronte, dunque, che ci si deve concentrare se si vuol vedere poi annullare, a valanga, tutti gli altri atti.

Ma perché ciò avvenga è necessario che l’accertamento fiscale venga annullato per vizi nel merito. Se invece l’impugnazione ha ad oggetto vizi di forma, come ad esempio l’assenza di firma da parte del dirigente, il procedimento penale resta in piedi. È questa l’interpretazione fornita dalla Cassazione con una importante sentenza depositata ieri [1].

Nel provvedimento in commento si legge infatti che eventuali nullità dell’avviso di accertamento per difetto di sottoscrizione sono del tutto irrilevanti ai fini penali. Ciò perché i vizi di forma dell’atto fiscale si esauriscono solo nel rapporto tributario e riguardano solo la pretesa di pagamento da parte dell’Erario. Nel processo penale, invece, l’atto dell’Agenzia delle Entrate, seppur annullato per un vizio di forma, rappresenta un semplice documento che veicola informazioni e che, quindi, val bene ad attivare le indagini ed, eventualmente, il successivo procedimento penale. Procedimento penale che resta quindi indipendente dalle sorti di quello tributario e dell’atto impugnato.

Veniva disposto il sequestro preventivo nei confronti di un contribuente indagato per dichiarazione infedele in relazione a un’asserita omessa dichiarazione della plusvalenza. L’interessato riusciva a far annullare l’atto impositivo in quanto sottoscritto da un funzionario privo di potere; ma ciò non è stato sufficiente a determinare l’automatica inutilizzabilità ai fini penali dell’avviso stesso e degli atti su cui esso si fondava (Pvc e relativi allegati).

Nell’ambito del diritto tributario, l’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate è l’atto con cui l’erario impone l’esatto adempimento dell’obbligazione tributaria. Perché sia valido deve possedere specifici requisiti di forma, diversamente è nullo e il fisco non può più pretendere il pagamento da parte del contribuente. In sede penale, invece, l’avviso di accertamento subisce una trasformazione genetica: non è più atto di impulso ma documento che veicola informazioni. In questa sede, infatti, il promotore dell’azione è il Pm che la esercita nei modi e nelle forme previste dal codice di procedura civile, l’accertamento è strumentale all’esercizio dell’azione, ma non è l’atto che l’incorpora [2].

[1] Cass. sent. n. 35294/2016.

[2] Con la conseguenza che le regole di riferimento, a questi fini, non sono le norme fiscali (art. 42 del Dpr 600/73) ma l’art. 191 cod. proc. pen.

(Fonte: La Legge per tutti)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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