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Agevolazioni prima casa: se i coniugi hanno residenza diversa


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In caso di acquisto di un immobile, non conta il fatto che il marito non abbia trasferito, come la moglie, la residenza nella nuova casa nei 18 mesi se tale appartamento è stato destinato a residenza della famiglia.
Via libera della Cassazione al bonus prima casa qualora i coniugi abbiano residenza diversa; non conta infatti che solo il marito o solo la moglie abbia trasferito, nei 18 mesi successivi all’acquisto, la propria residenza: quel che davvero rileva è che sia stato dichiarato che nel predetto immobile la famiglia abbia la sua residenza. È quanto chiarito dalla Cassazione con una sentenza pubblicata ieri [1].
In pratica, si può ottenere l’agevolazione “prima casa”, nell’ipotesi di acquisto effettuato da due coniugi, non soltanto se entrambi risiedono nel Comune dove l’abitazione è ubicata, ma anche se risiedono in due Comuni diversi, a condizione però che:
l’immobile acquistato sia ubicato in uno di questi Comuni;
in tale Comune la famiglia (considerata nel suo insieme) abbia la sua residenza;
si tratti di un acquisto compiuto in regime di comunione legale dei beni.
Dunque, per ottenere l’agevolazione “prima casa”, nel caso di acquisto effettuato da due coniugi, non è necessario che entrambi risiedano nel Comune ove è ubicata l’abitazione oggetto di acquisto, ben potendo conservare una residenza diversa: in tal caso, però, l’agevolazione sarà mantenuta solo alle predette tre condizioni.
La residenza nel Comune ove si trova l’immobile
Come noto, il bonus prima casa si può ottenere solo se la casa “agevolata” si trova:
– nel Comune in cui l’acquirente ha già la sua residenza oppure nel quale egli stabilirà la propria residenza entro 18 mesi dalla data del rogito d’acquisto;
– oppure nel Comune in cui l’acquirente svolge la propria attività di lavoro o di studio;
– oppure nel Comune in cui ha sede il datore di lavoro dell’acquirente, se si tratta di un acquirente trasferito all’estero per ragioni di lavoro;
– oppure in qualsiasi Comune italiano, se si tratta di un acquirente cittadino italiano emigrato all’estero, che non abbia altre case sul territorio italiano.
Dunque, se all’atto dell’acquisto del nuovo immobile “agevolato”, il contribuente non ha già trasferito la propria residenza ove si trova detto immobile, lo può fare entro i successivi 18 mesi. In caso contrario, perderà le agevolazioni di cui ha usufruito (Iva al 4% oppure imposta di registro al 2%, invece che rispettivamente al 20% o al 9%) e dovrà pagare allo Stato le maggiori imposte.
L’immobile acquistato in comunione dei beni
Ma che succede nel caso in cui l’immobile sia stato acquistato da una coppia di coniugi in comunione dei beni, per cui la nuova casa entra nel patrimonio di entrambi? Il requisito della residenza deve riguardare sia il marito che la moglie o può, invece, essere rispettato solo da uno dei due?
La sentenza in commento apre le porte a un’estensione dei benefici fiscali che, almeno dal tenore letterale della norma, non era inizialmente ritenuta possibile. Infatti, a rigore, si era ritenuto in passato che, nel caso di acquisto effettuato da due coniugi, ai fini dell’ottenimento dell’agevolazione “prima casa”, entrambi dovessero avere (o trasferire nei successivi 18 mesi) la residenza nel Comune ove è ubicato l’immobile oggetto di acquisto agevolato. Affermare, dunque, che l’agevolazione spetta anche se uno dei due coniugi non abbia questo requisito della residenza, significa senz’altro guardare la normativa in questione con un’ottica assai estensiva.
La Corte arriva a questo risultato ricorrendo al concetto di “residenza della famiglia” quale soggetto autonomo rispetto ai coniugi; cosicché, una volta provato che la casa oggetto di acquisto agevolato è destinata ad ospitare appunto la “residenza della famiglia”, non importa poi che uno dei coniugi abbia altrove la propria residenza (“in considerazione del fatto che i coniugi non sono tenuti ad una comune residenza anagrafica, ma reciprocamente alla coabitazione, sicché un’interpretazione della legge tributaria, che del resto parla di residenza e non di residenza anagrafica, conforme ai principi del diritto di famiglia, porta a considerare la coabitazione con il coniuge acquirente come elemento adeguato a soddisfare il requisito della residenza ai fini tributari”).
La sentenza
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 9 – 28 giugno 2016, n. 13334
Presidente Chindemi – Relatore Zoso
Esposizione delle ragioni in fatto ed in diritto della decisione
1. La Commissione Tributaria regionale del Lazio con sentenza depositata il giorno 8 giugno 2011, rigettava l’appello proposto da B.C. avverso la decisione della CTP di Roma con cui era stato rigettato il ricorso proposto dal contribuente medesimo avverso un avviso di liquidazione per il recupero delle imposte di registro, ipotecaria e catastale relative alla quota del 50% del bene immobile acquistato con atto del 18.6.2002. L’atto impositivo era stato emesso sul presupposto che l’acquirente, il quale aveva acquistato l’immobile in comunione legale con la moglie, non aveva trasferito ivi la residenza entro 18 mesi dall’acquisto. Osservava la CTR che entrambi i coniugi avevano dichiarato nell’atto di acquisto che intendevano trasferire la propria residenza nell’immobile mentre solo la moglie vi aveva provveduto e, dunque, l’agevolazione non spettava relativamente alla quota del marito. Rilevava, inoltre, la CTR che il contribuente aveva affermato che per godere delle agevolazioni non era necessario il requisito della residenza di entrambi i coniugi, essendo rilevante la residenza effettiva riferita al nucleo
familiare e, tuttavia, egli non aveva documentato la composizione del nucleo familiare.
2. Il contribuente ricorre per la cassazione della sentenza formulando due motivi illustrati con memoria. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
3. Con il primo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, numero 3, cod. proc. civ., in relazione al D.L. 7.2.1985 n. 12, convertito dalla legge 5.4.1985 n. 118 ed agli articoli 143, 144 e 146 cod. civ.. Sostiene il ricorrente che la CTR è incorsa in errore nel ritenere che l’agevolazione spetti se entrambi i coniugi hanno trasferito la residenza nell’immobile acquistato, in quanto ciò che rileva è il requisito della residenza della famiglia nel comune in cui è ubicato l’immobile, potendo i coniugi avere residenze diverse.
4. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360, numero 5, cod. proc. civ.”. Sostiene il ricorrente che i giudici di appello non hanno motivato in ordine alla valenza della residenza effettiva della famiglia ed alla differenza con la residenza anagrafica laddove il trasferimento della residenza, da parte della moglie, nell’immobile acquistato costituiva prova della volontà comune dei coniugi di trasferire la residenza familiare.
5. Osserva la Corte che entrambi i motivi di ricorso debbono essere esaminaticongiuntamente in quanto sottendono la medesima questione giuridica. Questo collegio ritiene di dover continuare a dar corso al più recente orientamento, secondo il quale, in tema di imposta di registro e di relativi benefici per l’acquisto della prima casa, il requisito della residenza va riferito alla famiglia, per cui ove l’immobile acquistato sia adibito a tale destinazione non rileva la diversa residenza di uno dei due coniugi che abbiano acquistato in regime di comunione, essendo essi tenuti non ad una comune sede anagrafica ma alla coabitazione (Sez. 5, Sentenza n. 25889 del 23/12/2015; Sez. 5, Sentenza n. 16355 del 28/06/2013; Sez. 5, Ordinanza n. 2109 del 28/01/2009). Sennonché la CTR, con valutazione di merito incensurabile in questa sede se non sotto il profilo della illogicità, ha ritenuto che il contribuente non aveva provato che l’immobile per il quale erano state chieste le agevolazioni fosse stato adibito a residenza familiare poiché neppure risultava quale fosse la composizione del nucleo familiare. Il dedotto motivo concernente il fatto che la CTR non ha considerato che la moglie aveva assunto la propria la residenza nell’immobile è, poi, privo di decisività, tenuto conto che, se è ben vero che è sufficiente che uno solo dei due coniugi abbia trasferito la residenza nell’immobile, ciò che rileva ai fini della concessione dell’agevolazioneè che nell’immobile si realizzi la coabitazione dei coniugi, trattandosi di un elemento adeguato a soddisfare il requisito della residenza ai fini tributari (Cass. n. 14237 del 2000), in quanto ciò che conta non è tanto la residenza dei singoli coniugi, quanto quella della famiglia. L’art. 144 cod.civ., invero, prevede che i coniugi possano avere delle esigenze diverse ai fini della residenza individuale e fissare la residenza della famiglia, che è soggetto autonomo, per cui il metro di valutazione dei requisiti per ottenere il beneficio deve essere diverso in considerazione della presenza di un’altra entità, quale la famiglia. Ne deriva che la mera circostanza che la moglie avesse trasferito la residenza nell’immobile era elemento di per se irrilevante per affermare che colà fosse stata stabilita dai coniugi la residenza della famiglia.
6. Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese processuali che liquida in euro 2.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
chiudi
[1] Cass. sent. n. 13334/16 del 28.06.2016.
(Fonte: La legge per tutti) 


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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