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Prelievi e versamenti sul conto corrente, come cambiano


Ordine Informa

Il nuovo decreto fiscale approvato dal Governo [1] ha modificato sostanzialmente la disciplina dei prelievi dal conto corrente, stabilendo – ma solo per gli imprenditori – un tetto di mille euro al giorno e cinquemila al mese, oltre il quale le somme depositate in banca fanno scattare l’allerta del fisco che potrà considerare tali importi come “ricavi non dichiarati”. All’esito di tali novità è dunque bene fare il punto della situazione e stabilire cosa è consentito fare e cosa, invece, non lo è quando si parla di prelievi e versamenti sul conto corrente.
Il contribuente è libero di effettuare versamenti in conto corrente per qualsiasi importo, anche superiore a tremila euro: la legge, infatti, che pone il divieto di utilizzo di denaro contante per cifre superiori a 3.000 euro, non si applica nei rapporti con la banca (ciò vale, quindi, tanto per i versamenti quanto per i prelievi). Se è vero, però, che la banca non può rifiutarsi di depositare sul conto del proprio cliente un gruzzoletto consistente, questo non toglie che, un domani, l’Agenzia delle Entrate possa chiedere a quest’ultimo la provenienza di tale denaro, specie se non proporzionato al reddito da lui prodotto.

La legge [2] consente al fisco di effettuare indagini bancarie, sui conti correnti e, sulla base dei dati così ottenuti, basare le proprie rettifiche del reddito e gli accertamenti fiscali. Per cui il contribuente deve essere sempre pronto a dimostrare la fonte dei redditi versati sul conto corrente, se non sono stati “denunciati” nell’annuale dichiarazione dei redditi. In pratica, un versamento non giustificato – ossia per il quale il contribuente non riesca a fornire prova della provenienza del denaro – può costituire causa di un controllo da parte del fisco. Controllo che, comunque, potrà tutt’al più comportare una rettifica della tassazione del reddito, con le relative sanzioni, per via dell’evasione fiscale, ma mai un reato.

L’aspetto più importante di questa norma è la sua genericità: in assenza di una indicazione sui soggetti a cui si riferisce, la giurisprudenza la ritiene applicabile a tutti i contribuenti, a prescindere dall’attività da questi svolta. Questo perché la legge fa riferimento al «reddito», senza alcuna distinzione, e agli accertamenti che riguardano sia persone fisiche che non svolgono attività economiche (dipendenti) sia imprenditori e autonomi.

In altre parole, la norma che consente il controllo dei versamenti in banca non giustificati si applica ad imprenditori, a professionisti, a lavoratori dipendenti ecc. Non conta che il reddito di questi ultimi sia certo, predeterminato e proveniente sempre dallo stesso soggetto: anche chi ha un contratto alle dipendenze di un’azienda può avere un conto corrente su cui transitino somme derivanti da evasione.

Quattro sentenze della Cassazione [3] hanno stabilito che la norma non trova applicazione per i professionisti – i quali, quindi, sarebbero liberi di effettuare versamenti al riparo dai controlli fiscali – ma si tratta di una evidente forzatura. Due anni fa, infatti, è intervenuta sul punto la Corte Costituzionale [4] che – come vedremo tra poco – ha escluso le indagini sui professionisti solo per quanto riguarda i prelievi in conto corrente e non anche per i versamenti. Del resto non vi sarebbe ragione di includere nel campo di applicazione di tale legge i lavoratori dipendenti e non gli autonomi che, invece, sono maggiormente a rischio evasione per via della difficoltà di controllare l’entità e la fonte del reddito.

Sintetizzando: i versamenti in conto corrente non hanno limiti, possono cioè essere disposti per qualsiasi importo, ma a condizione che il contribuente sappia dimostrare, in caso di richiesta di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, da dove provengono i soldi. In altre parole non si deve trattare di versamenti non giustificati.

Più complicata la disciplina dei prelievi sul conto corrente.

Si parte sempre dal medesimo principio: le norme sulla tracciabilità dei pagamenti – che hanno fissato dal 1° gennaio 2016 il limite di utilizzo del contante a 3.000 euro – non si applicano nei rapporti cliente-banca. Il che significa che, almeno in teoria, il correntista può prelevare diverse migliaia di euro dal proprio conto senza che lo sportellista della banca si possa opporre (potrebbe tutt’al più chiedergli giustificazioni da trasmettere alla direzione della banca, ma nient’altro).

Il problema si pone, anche in questo caso, per i rapporti con il fisco quando si tratta di prelievi non giustificati, ossia quando non viene chiarito il beneficiario di tali somme. Il problema potrebbe essere risolto a monte con un bonifico, operazione che lascia sempre traccia – anche grazie all’ausilio della causale – della natura dell’accredito e del soggetto beneficiario. Ma quando si ha a che fare con prelievi di denaro contante come ci si deve organizzare?

Qui è necessario fare una distinzione per categorie di lavoratori.

Per i lavoratori dipendenti non ci sono limiti e né possibilità di controlli fiscali: questi, quindi, restano liberi di effettuare prelievi dal conto senza che, un giorno, l’Agenzia delle Entrate possa loro chiedere giustificazioni sulle ragioni di detto prelievo e sullo scopo cui era destinata la somma.

Ai professionisti, inizialmente, veniva estesa la disciplina applicabile un tempo agli imprenditori (ora riformata), disciplina secondo cui i prelievi non giustificati erano da ritenersi al pari di ricavi e, quindi, giustificavano un accertamento fiscale. Tale equiparazione però è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale [4](ne abbiamo parlato anche nel paragrafo precedente). Sicché si può dire che oggi i professionisti, come i lavoratori dipendenti, sono liberi di effettuare prelievi senza dover tenere traccia del beneficiario delle somme.

Veniamo infine agli imprenditori. Per questi ultimi, la norma precedente al decreto fiscale appena approvato [2] stabiliva l’obbligo di dover sempre giustificare i prelievi in conto corrente. Significava che se un imprenditore o un professionista effettuava dei prelievi e non era in grado di indicare il beneficiario, si poteva ritenere che avesse acquistato in nero per rivendere altrettanto in nero.

La norma è cambiata e fissa dei tetti: solo se tali limiti vengono superati c’è l’obbligo di fornire chiarimenti sul beneficiario dei prelievi. In pratica, unicamente per gli imprenditori viene stabilito che solo i prelievi non giustificati superiori a 1.000 euro giornalieri e comunque superiori a 5.000 euro mensilipossono eventualmente causare un accertamento. Quelli invece inferiori a tali importi restano liberi.

[1] Dl 193/2016.

[2] Art. 32, co. 1, numero 2) Dpr 600/1973.

[3] Cass. sent. n. 23041/2015 e le nn 12779, 12781 e 16440 del 2016.

[4] C. Cost. sent. n. 228/2014.

(Fonte: La Legge per tutti)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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