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L’orario di lavoro


Ordine Informa

Quante sono le ore di lavoro massimo per ogni giorno e quante invece quelle di riposo?
Al fine di garantire il recupero delle energie psicofisiche, la legge prevede precisi limiti di durata dell’attività lavorativa e appositi periodi di riposo nell’arco della giornata, della settimana e dell’anno.

La normativa che regola l’orario di lavoro risale al 2003 [1] e affida un ruolo centrare ai contratti collettivi di qualsiasi livello, stipulati da organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative.

A chi si applica la disciplina sull’orario normale di lavoro?

Ai lavoratori subordinati (compresi gli apprendisti maggiorenni) delle aziende appartenenti a tutti i settori di attività, ad eccezione di:

– gente di mare;

– lavoratori che effettuano operazioni mobili di autotrasporto;

– personale di volo nell’aviazione civile;

– personale della scuola;

– addetti ai servizi di vigilanza privata.

A chi non si applica la disciplina sull’orario normale di lavoro?

Sono esclusi dalla normativa in esame i lavoratori per i quali la durata dell’orario di lavoro – a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata – non è misurabile o predeterminabile, oppure può essere determinata dai lavoratori stessi (restano però ferme le disposizioni relative al riposo settimanale, alle ferie ed alle limitazioni al lavoro notturno).

Ecco qualche esempio:

– dirigenti, personale direttivo e altre persone aventi potere decisionale autonomo;

– manodopera familiare;

– lavoratori a domicilio e addetti al telelavoro.

Cosa si intende per orario di lavoro?  

Qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.

Qual è l’orario normale di lavoro?

L’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali; tuttavia, i contratti collettivi possono stabilire una durata inferiore e riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno (cosiddetto orario multiperiodale).

L’orario settimanale non può in ogni caso superare le 48 ore (comprese le ore di lavoro straordinario) per ogni periodo di 7 giorni, calcolato come media in un periodo non superiore a 4 mesi (elevabile dalla contrattazione collettiva a 6 o, a fronte di ragioni obiettive, tecniche o organizzative, 12 mesi).

Nel calcolo della media non sono presi in considerazione i periodi di ferie annue e le assenze per malattia, infortunio e gravidanza. Tutti i restanti periodi di assenza con diritto alla conservazione del posto restano pertanto ricompresi nell’arco temporale di riferimento, sia pur con indicazione delle ore pari a zero.

I contratti collettivi stabiliscono la durata massima settimanale dell’orario di lavoro, che per effetto del regime legale obbligatorio di pause, riposi giornalieri e settimanali non può comunque eccedere le 77 ore.

Nella settimana lavorativa si può superare il limite delle 48 ore settimanali, purché vi siano settimane lavorative di meno di 48 ore, in modo da effettuare una compensazione. L’attività può essere concentrata in alcuni periodi e ridotta in altri.

Nel caso di contratti di lavoro a tempo determinato di durata inferiore al periodo di riferimento (4, 6 o 12 mesi), per il calcolo dell’orario medio di lavoro è necessario considerare l’effettiva durata del contratto di lavoro a termine.

Esiste un limite giornaliero di ore di lavoro?

Attualmente è prevista la possibilità di modulare l’orario di lavoro su base settimanale, mensile o annuale; perciò è stato eliminato il limite giornaliero di durata della prestazione lavorativa. Tuttavia, un limite giornaliero si può ricavare interpretando le disposizioni in materia di riposi giornalieri e pause [2]: dal momento che la legge stabilisce che il lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore, si deduce che la differenza tra le 24 ore e le 11 ore di riposo (ossia 13) rappresenta il limite giornaliero alla durata dell’orario di lavoro, cioè 13 ore giornaliere, ferme restando le pause.

Si calcolano le pause durante il lavoro?

Ai fini del raggiungimento dei limiti di orario giornaliero bisogna considerare anche i momenti di pausa, tranne quelli regolamentati, di attesa non lavorata o di spostamento nell’ambito del luogo di lavoro.

In genere, rientrano nell’orario di lavoro i periodi in cui i lavoratori sono obbligati ad essere fisicamente presenti sul luogo indicato dal datore di lavoro ed a tenersi a disposizione di quest’ultimo per poter fornire la loro opera in caso di necessità [3]. Si pensi alla vestizione e svestizione (cosiddetto “tempo tuta”) degli operatori sanitari, la reperibilità (tempo cioè in cui un lavoratore si trova nella propria abitazione ma disponibile alla chiamata del datore in caso di necessità). Non vi rientra invece il tempo impiegato per recarsi al lavoro e per il ritorno (salve le diverse e migliori previsioni dei contratti collettivi) o il tempo impiegato giornalmente dal lavoratore per raggiungere la sede di lavoro durante la trasferta.

Quante ore di riposo giornaliero sono previste?

Ferma restando la durata normale dell’orario settimanale, il lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo consecutive ogni 24, calcolate dall’ora d’inizio della prestazione lavorativa. Il periodo di riposo minimo (11 ore) non può essere diminuito da accordi tra le parti.

Il criterio della consecutività può essere derogato per le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata, o da regimi di reperibilità, come ad esempio le attività di ristorazione e di pulizia.

Quali sono le attività per le quali sono previste deroghe?

Per le seguenti attività non si applica il limite di orario normale di lavoro di 40 ore settimanali, ma va rispettata la durata media settimanale di 48 ore:

– lavori agricoli e altri lavori per i quali ricorrono necessità imposte da esigenze tecnico-stagionali;

– occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia, inclusi i portieri con diritto all’alloggio nello stabile in cui prestano la loro attività;

– commessi viaggiatori o piazzisti;

– giornalisti professionisti, praticanti e pubblicisti dipendenti da aziende editrici di giornali, periodici e agenzie di stampa, quelli dipendenti da aziende esercenti servizi radiotelevisivi, nonché addetti ai servizi di informazione radiotelevisiva;

– personale poligrafico (operai ed impiegati) addetto alle attività di composizione, stampa e spedizione di quotidiani e settimanali, di documenti necessari al funzionamento degli organi legislativi e amministrativi nazionali e locali, nonché alle attività produttive delle agenzie di stampa.

– dipendente da industrie di ricerca e coltivazione di idrocarburi, sia in mare che in terra, di posa di condotte ed installazione in mare;

– viaggiante dei servizi pubblici di trasporto per via terrestre;

– dipendente da gestori di impianti di distribuzione di carburante non autostradali;

– non impiegatizio dipendente da stabilimenti balneari, marini, fluviali, lacuali e piscinali;

– addetto alle aree operative, che rende la propria prestazione per assicurare la continuità del servizio, nei seguenti settori:

– imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, delle autostrade, dei servizi portuali ed aeroportuali, nonché imprese che gestiscono servizi pubblici di trasporto ed imprese esercenti servizi di telecomunicazione;

– aziende di produzione, trasformazione, distribuzione, trattamento ed erogazione di energia elettrica, gas, calore ed acqua;

– aziende di raccolta, trattamento, smaltimento e trasporto di rifiuti solidi urbani;

– servizi funebri e cimiteriali limitatamente ai casi in cui il servizio stesso sia richiesto dall’autorità giudiziaria, sanitaria o di pubblica sicurezza.

[1] D.Lgs. 66/2003.

[2] Artt. 7 e 8 D.Lgs. 66/2003.

[3] C.Giust. CE 9 settembre 2003 C-151/02; Circ. Min. Lav. 3 marzo 2005 n. 8

(Fonte: La Legge per tutti)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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