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Lavoro a tempo pieno: precedenza a chi ha più carichi di famiglia


Ordine Informa

Nel passaggio dal part time al full time il diritto di precedenza nell’assunzione a tempo pieno va al lavoratore con maggiori carichi familiari.
Se l’azienda intende trasformare il rapporto di lavoro da full time (tempo pieno) a part time (tempo parziale), deve dare priorità ai lavoratori con un carico di famiglia maggiore. È quanto precisato dalla Cassazione con una recente sentenza [1].

Spetta, infatti, in caso di assunzione full-time, un diritto di precedenza a tutti i lavoratori assunti a tempo parziale in attività produttive situate entro 100 Km dall’unità produttiva interessata dall’offerta lavorativa: a parità di condizioni si deve tenere presente il carico familiare del lavoratore. 

Cosa si intende per “Maggiori carichi famigliari”

Secondo la Corte, per “carichi di famiglia” si deve intendere sia il numero di figli a carico sia la situazione patrimoniale del dipendente.

Sono le condizioni economiche e patrimoniali del nucleo famigliare che determinano la preferenza nella graduatoria per lo spostamento della sede lavorativa. Infatti, adoperando la recente giurisprudenza [2], la Cassazione ha sostenuto che la disciplina di tutela dei lavoratori non può basare eventuali agevolazioni solamente sul numero di figli, senza tenere conto delle condizioni economiche del nucleo familiare, poiché l’intento della normativa è tutelare la situazione reddituale del lavoratore part time dall’aggravio economico derivante dal numero di familiari a carico.

LA SENTENZA

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 ottobre 2015 – 12 gennaio 2016, n. 275

Presidente Venuti – Relatore Balestrieri

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Firenze, L.D., dipendente della società Autostrade per l’Italia s.p.a., esponeva di aver richiesto il 21.4.2000 la trasformazione del suo rapporto a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, esprimendo la sua preferenza per la sede di lavoro. Deduceva infatti che per prassi aziendale le residenze di servizio vacanti venivano assegnate ai dipendenti full-time sulla base dell’anzianità di servizio. Ella tuttavia non veniva inserita in un posto utile in graduatoria poiché, sulla base dei carichi di famiglia (di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. 25.2.2000 n.61), veniva preferito altro dipendente. La trasformazione, pertanto, avveniva solo nel febbraio 2001. Il ritardo nella trasformazione del contratto aveva comportato una minore anzianità di servizio utile, che le aveva impedito di ottenere la sede richiesta.

Fatte tali premesse, la D. sosteneva di avere un maggior carico familiare rispetto al collega preferito e chiedeva che venisse dichiarato il suo diritto al full-time dall’ottobre 2000 ed il suo diritto alla sede di Chiusi dal febbraio 2001, il pagamento della trasferta dalla medesima data ed, infine, il risarcimento dei danno per la maggiore gravosità del lavoro provocata dall’esigenza di raggiungere le diverse sedi nel frattempo assegnatele.

Costituitasi la convenuta, con sentenza 13.9.2007 il Tribunale rigettava le domande.

Avverso tale sentenza proponeva appello la lavoratrice, censurandola per aver fondato la decisione su di una errata definizione dei cd. carichi di famiglia.

Disposta c.t.u. contabile, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 20 marzo 2009, in parziale accoglimento dei gravame accertava il diritto della D. alla trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno dall’ottobre 2000 e condannava la società al pagamento, a titolo di indennità di trasferta, della somma di €.24.065,33 oltre accessori dal 31.12.08 al saldo. Rigettava le restanti domande.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società Autostrade per l’Italia p.a., affidato ad unico motivo, poi illustrato con memoria.

Resiste la D. con controricorso.

Motivi della decisione

1.-La ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. 25.2.2000,n.61 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.). Insufficiente e\o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.).

Lamenta che l’art. 3, comma 11, del c.c.n.l. di categoria 16.2.2000 rinvia per la individuazione dei criteri di precedenza ai fini della trasformazione dei rapporto da part time a full time all’art. 5, comma 2 sopra richiamato, che, nel testo vigente all’epoca dei fatti, stabiliva che: “in caso di assunzione di personale a tempo pieno il datore di lavoro è tenuto a riconoscere un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in attività presso unità produttive site entro 100 Km dall’unità produttiva interessata dalla programmata assunzione …A parità di condízioní, il diritto di precedenza nell assunzione a tempo pieno potrà essere fatto va/ere prioritariamente da/ lavoratore con maggiori carichi familiari …”. Lamenta che la Corte di merito, aderendo alla tesi sostenuta dalla lavoratrice, ritenne che per “carichi familiari” dovessero intendersi i carichi fiscali, dal momento che la ratio della norma doveva essere quella di “preferire chi ha più bisogno di incrementare il suo reddito e tale stato di bisogno non può essere valutato se non sulla concreta condizione dei singolo richiedente”, avuto riguardo al maggior impegno economico che derivi dalla combinazione di più elementi ed in particolare dal numero delle persone a carico e dal reddito dei lavoratore gravato.

Si duole la società ricorrente che l’espressione della norma non poteva che rinviare al numero dei familiari a carico e non già ad altri criteri, quali quelli previsti dalla disciplina fiscale per la quale è familiare a carico qualunque membro della famiglia per il quale sussista il diritto a detrazioni fiscali.

Formula il seguente quesito di diritto: “se la nozione di maggiori carichi familiari, contenuta nell’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 61\2000, debba essere intesa nel senso letterale, atecnico e civilista del termine ovvero nel senso, non ,risultante dalla lettera della norma e non conforme ad una interpretazione sistematica della stessa, di maggiori detrazioni fiscali”. Il ricorso è infondato.

La norma invocata prevede come criterio per il diritto di precedenza nell’assunzione full time (e nella relativa trasformazione dei rapporto) quello dei “maggiori carichi familiari”.

L’interpretazione fornita dalla Corte di merito, secondo cui a tale fine occorre far riferimento alla nozione, evincibile dalla disciplina fiscale, sia dei numero dei figli, sia della situazione patrimoniale della famiglia, risulta corretta ed esente da vizi logici. Ed invero il concetto di maggiori carichi familiari, per i fini che qui interessano ed all’interno di una disciplina diretta alla maggior tutela dei lavoratori, non può basarsi (giusta la disciplina mutuabile dal sistema fiscale che fa riferimento anche al reddito complessivo del nucleo familiare, art. 17 d.P.R. n. 917\1986)unicamente ed astrattamente sul numero dei figli, indipendentemente dal carico economico che ciò comporta e dunque dalle condizioni economiche e patrimoniali del nucleo familiare, bensì con riferimento anche a quest’ultimo che, pacificamente quanto alla D., comportava il suo diritto ad essere preferita nella trasformazione del rapporto da parta full time, come evincibile da quanto esposto dalla stessa società a pag.10 dei ricorso: “ai fini della composizione della graduatoria per la trasformazione del rapporto, la resistente (società) … ha preso in considerazione (solo, cfr. pag.18 del ricorso ove si evidenzia il minor numero di figli della D. rispetto agli altri richiedenti) il numero di familiari a carico di ciascun lavoratore e non gli importi delle relative detrazioni fiscali”. In sostanza la norma in questione (5, comma 2, digs. n. 61\2000) è diretta a tutelare la situazione reddituale deteriore del lavoratore part time, per il maggior aggravio derivante sia dal numero dei familiari a carico, sia del relativo onere economico, In tal senso può menzionarsi la recente sentenza di questa Corte (n. 15210\2015) che, sia pur con riferimento ad analoga disposizione contenuta nell’art. 5 della L.n.223\1991, ha ritenuto che I’ “espressione adoperata dal legislatore intende individuare i soggetti ‘a carico’ del lavoratore stesso e non già (solo) quelli che fanno parte del nucleo familiare”.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.100,00 per esborsi, €.3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali ed accessori di legge.

[1] Cass. sent. n. 275/16 del 12.01.2016.

[2] Cass. sent. n. 15210/2015.

(Fonte: La Legge per tutti)  

 


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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