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Cultura del lavoro che cambia


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La disoccupazione giovanile ed i dati che la fotografano fanno orrore. Al di sotto dei 25 anni quattro italiani su dieci sono senza lavoro. Pagano decenni di cultura consociativa a difesa del solo lavoro contrattualizzato e la semplificazione che l’euro avrebbe fatto salire tutte le barche, al pari della marea kennediana, senza che fossero necessarie riforme profonde, soprattutto nei mercati dove i fattori produttivi vengono scambiati. Il risultato è una perdita di pil potenziale che non ha precedenti nella storia economica recente di una grande economia avanzata. Quello che dovrebbe preoccupare l’Italia, non sono tanto i quasi nove punti percentuali di ricchezza nazionale persi dal 2008 ad oggi, ma la crescita sprecata lasciando i giovani inoccupati. Sono i giovani, infatti, quelli che più rapidamente adottano le nuove tecnologie e possono contribuire a far crescere la produttività sistemica e non farli lavorare in massa significa condannarsi a una traiettoria di sottosviluppo prolungata. E, a termine, far saltare tutto: sistema pensionistico, stato sociale, struttura fiscale.
Fortunatamente i giovani italiani sono molto meglio di quanto di loro si dice. Navigano la rete, osservano quanto accade altrove e si danno da fare per non restare intrappolati nel default italico regalatogli dalle generazioni che li hanno preceduti. Hanno capito che il lavoro nell’Italia di oggi, quella esposta alla globalizzazione e incasellata nei vincoli dell’euro, si deve inventare, perché dal cielo dei concorsi pubblici non piove più. Significa prendere più rischi di quanto non abbiano fatto per decenni le generazioni italiche, ma significa anche prendere lo stesso livello di rischio col quale i giovani svedesi, americani, inglesi, russi o finlandesi hanno già da tempo deciso di convivere.
La crisi, insomma, pur con la sua brutalità sta accelerando il processo di trasformazione culturale dei giovani italiani che oggi appaiono più makers e meno takers. È un passaggio importante per ridare crescita a un’economia impantanata nella palude delle non scelte e delle illusioni che nel contesto globale esista per davvero una terza via o, peggio, una via italica al pil.
Come certifica, ad esempio, il dinamismo delle start up sarde. In 186 hanno chiesto un finanziamento a SardegnaRicerche che ne ha selezionate solo 18. Meno del 10%, la stessa selezione meritocratica della Silicon Valley. Tempi decisionali rapidi, qualità burocratica da eurozona e tante energie vogliose di fare business segnalano che la decrescita non è un destino inevitabile per il Belpaese.
(fonte Italia Oggi)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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