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Call center: i tanti (troppi?) difetti della “clausola sociale”


Ordine Informa

Con la pubblicazione in gazzetta ufficiale della legge di riforma degli appalti (legge 28 gennaio 2016, n. 11) diventa operativa (dal prossimo 13 febbraio) la disposizione che introduce la c.d. clausola sociale per il settore di call center.Secondo la norma (art. 1, comma 10), i lavoratori impiegati nell’esecuzione di un servizio di call center hanno diritto a mantenere il posto di lavoro, nei casi in cui l’impresa committente decida di cambiare l’operatore cui viene affidata l’organizzazione del servizio stesso.
La novità è molto rilevante, ma il cammino della nuova disposizione si preannuncia accidentato.
L’affermazione del principio non viene, infatti, accompagnata da un meccanismo chiaro per la sua applicazione, con la conseguenza che saranno molte le incertezze applicative.
La prima questione che si pone riguarda l’ambito di applicazione del nuovo sistema; la legge prevede che la clausola sociale si applichi in caso di “successione” di imprese nel contratto di appalto con il medesimo committente e per la “medesima attività” di call center.
Cosa accade se le imprese esecutrici del servizio mutano non per successione nella titolarità del contratto, ma in virtù di un subappalto?
Inoltre, come si fa a definire con certezza se l’attività oggetto del subentro è identica a quella affidata al precedente appaltatore? E’ ben possibile che, alla scadenza di un appalto, l’impresa committente decida di ridefinire, in tutto o in parte, i contenuti del servizio: in questi casi, l’individuazione dei lavoratori rientranti nell’ambito di applicazione della norma e di quelli esclusi sarà molto difficile.
Non chiara neanche la platea dei lavoratori interessati dal passaggio: solo quelli che lavorano direttamente sul servizio oppure anche le strutture operative di supporto a questo personale? Un altro dubbio interpretativo si pone in relazione alla disciplina applicabile al rapporto di lavoro del personale che passa da un’impresa all’altra.
La legge si limita a stabilire che “il rapporto di lavoro continua con l’appaltatore subentrante”, senza chiarire se la continuazione avviene – come per i casi di trasferimento di azienda – con il mantenimento del trattamento economico e normativo goduto prima del passaggio del rapporto dal vecchio al nuovo datore di lavoro.
La norma affida ai contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati (prima del trasferimento) dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative sul piano nazionale il compito di definire modalità e le condizioni con cui avverrà la prosecuzione del rapporto; in mancanza di accordi, si prevede un intervento sostitutivo del Ministero del lavoro, che con proprio decreto (da adottarsi dopo aver sentito le organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale), dovrà definire i criteri generali per l’attuazione del passaggio.
Potrebbe accadere che il ministero ritardi oppure non provveda all’emanazione del decreto: in mancanza di una norma collettiva e del decreto ministeriale, il datore di lavoro potrà modificare in tutto o in parte il trattamento economico e normativo applicato? La legge tace sul punto.
La nuova disposizione non disciplina neanche l’ipotesi in cui il vecchio e il nuovo appaltatore applichino contratti collettivi differenti; si potrebbero verificare problemi di coordinamento delle diverse disposizioni collettive vigenti.
Non chiara neanche la sorte delle spettanze di fine rapporto: dovranno essere liquidate al momento del passaggio oppure l’azienda uscente dovrà trasferire il relativo debito (e l’accantonamento connesso) alla cessionaria, come accade di regola quando il rapporto di lavoro viene trasferito da un soggetto all’altro? Anche questo aspetto potrà trovare risposte certe solo se saranno sottoscritte apposite intese collettive.
Vi è, infine, un problema più ampio: cosa accade se l’impresa cessionaria, a seguito del passaggio del personale, si trova a dover gestire un esubero di personale? Anche di questo la legge non se ne occupa.
(Autore: Lavoro e Impresa)


Ordine dei Consulenti del Lavoro Consiglio Provinciale di Palermo
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